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direttore Paolo Di Maira

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VENEZIA 75/Una Mostra Sconfinata

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Venice Virtual Reality, dopo il felice esordio dello scorso anno, si espande – protraendosi per tutta la durata della Mostra e aprendosi al pubblico– e s’intreccia sempre più con Biennale College, iniziativa complementare nel lavoro di scoperta e sostegno dei giovani talenti. Questa premessa è utile per cercare di interpretare l’equilibrio raggiunto dalla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e ben visibile nel palinsesto della sua 75° edizione.

La spinta verso il nuovo motiva, infatti, anche la scelta di includere nella selezione i film prodotti da Netflix, opere che Cannes ha sempre, finora, rifiutato di accogliere. Sono film di peso: “The Ballad of Buster Scruggs” storie del vecchio west raccontate dai fratelli Coen, “Roma” film autobiografico di Alfonso Cuaron, “22 of July” di Peter Greengrass , sulla strage terroristica del 2011 a Oslo (tutti e tre in Concorso), il film incompiuto di Orson Welles “ The Other Side of the Wind” Fuori Concorso, “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini, sull’omicidio di Stefano Cucchi, che apre la sezione Orizzonti.
Le lamentele delle associazioni italiane dell’esercizio, preoccupate della perduta centralità della sala cinematografica nel rapporto con l’istituzione veneziana, non hanno incrinato la convinzione, del direttore Alberto Barbera, che non spetti ad un Festival “salvare” il cinema.

Anche così Venezia – parallelamente cantiere di un nuovo modo di fare e fruire cinema – cementa il legame con il cinema hollywoodiano che ormai, a ragione, considera il Lido un trampolino per gli Oscar.

Il cinema a stelle e strisce presidia un po’ tutte le sezioni, ad iniziare dal Concorso, dove, oltre ai citati film targati Netflix, ha l’onore dell’apertura con “First Man”di Damien Chazelle, con Ryan Goslig primo uomo sulla luna, mentre fuori concorso schiera l’ennesimo remake di “A Star is Born”, stavolta interpretato da Lady Gaga e Bradley Cooper, quest’ultimo anche regista (esordiente).

Ma ci sono anche consacrati autori europei, la maggior parte dei quali già beniamini del Festival di Cannes: potremo stupirci con Jacques Audiard che ha girato un western tra Spagna e Romania (ma il cast è americano, presieduto da Joaquin Phoenix) dal titolo “The Sisters Brothers”, o lasciarci condurre dal dramedy leggero di Olivier Assayas “Doubles Vies”, oppure scoprire un Mike Leigh appassionato dalla storia, che nell’imponente “Peterloo” racconta uno degli episodi più violenti dell’Inghilterra dell’Ottocento; o andare agli albori del XVIII secolo per appassionarci agli intrighi di corte sotto il regno di Anna d’Inghilterra raccontati da Yorgos Lanthimos in “The Favourite”; o, ancora, riassaporare le inquietanti atmosferedi Florian Henckel von Donnersmarck (suo è il Premio Oscar “Le vite degli altri”) in “Werk ohne Autor”,  tre epoche di storia tedesca filtrate dalla vita dell’artista Kurt Barnert (interpretato da Tom Schilling).
Il mondo dell’arte ispira altri due film: “At Eternity’s Gate” di Julian Schnabel con Willem Dafoe nei panni di Van Gogh (in concorso), e “ Una storia senza nome” di Roberto Andò (fuori concorso), sulla vicenda del Caravaggio rubato a Palermo negli anni ottanta.

Il cinema italiano, non più al centro dell’attenzione della Mostra, gode comunque di una presenza prestigiosa, certamente non provinciale. Lo troviamo ben piazzato nel Concorso, con storie e autori che appartengono al cinema internazionale.
Luca Guadagnino si cimenta con il genere horror nel remake “Suspiria” (nel cast Dakota Johnson), Roberto Minervini, nativo di Fermo trapiantato negli Stai Uniti, torna, con il linguaggio che gli è più congeniale, quello del documentario, sul tema del razzismo negli Stati Uniti in “What You Gonna Do When the World’s On Fire?”.

E se Mario Martone conclude la sua trilogia sull’utopia con “Capri- Revolution” (anch’esso in Concorso), la creatività napoletana si ripropone con la proiezione speciale di un episodio della serie televisiva che Saverio Costanzo ha tratto dal romanzo di Elena Ferrante “L’amica geniale”, permettendo a Barbera di “allargare lo sguardo” oltre i confini del cinema.

Con sei Premi Oscar (Damien Chazelle, Ethan e Joel Coen, Alfonso Cuaron, Errol Morris, Frederick Wiseman, Laslo Nemes) tre Leoni d’oro (Mike Leigh, Tsai Ming Liang e Zhang Yimou) e una pioggia di star internazionali (l’elenco degli attori citati si allunga con Juliette Binoche, Liam Neeson, Tom Waits, Natalie Portman, Rachel Weisz, Tilda Swinton, Mel Gibson, Emma Stone, Emmanuelle Seigner, Luis Garrel; mentre Vanessa Redgrave e David Cronenberg ritireranno il Leone d’oro alla carriera), Venezia 75. verrà ricordata come un’edizione eccezionale, anzi, “sconfinata”, parafrasando il titolo di una sezione, che dal rassicurante “Cinema Giardino” è stata quest’anno rinominata Sconfini.

A proposito di Sconfini, che ripropone “The Tree of life”, versione “extended cut”(189 minuti) di Terence Malik, registriamo un paradosso. C’è la più alta percentuale di film italiani: quattro sugli otto che compongono la sezione. Sono: “Il banchiere anarchico” trasposizione sullo schermo dell’omonimo romanzo di Ferdinando Pessoa ad opera di Giulio Base, “Il ragazzo più felice del mondo”, storia di un fan seriale del fumettista GIPI, “Arrivederci Saigon” di Wilma Labate, il ricordo al femminile di una straordinaria tournè musicale nel Vietnam del ’68 in guerra (e dalla parte sbagliata), e “Camorra”, film di repertorio storico realizzato da Francesco Patierno con materiali di Rai Teche.

 

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