Il mondo della cultura e dello spettacolo ha salutato la fine del 2010 col mancato reintegro del FUS e il rinnovo del tax credit e tax shelter per soli sei mesi.
Nelle pagine che seguono Alberto Pasquale ne analizza le conseguenze, e mostra come queste accelerino il processo di concentrazione in atto nel mercato audiovisivo italiano, dove lo storico duopolio televisivo è un modello che sta prendendo piede anche nella distribuzione, nell’esercizio e nella produzione cinematografica.
Dentro queste coordinate si profila un mercato sempre meno caratterizzato dalla pluralità dei soggetti e dalle regole della concorrenza; un mercato dominato da poche, grandi imprese, che non avranno più bisogno né di incentivi né di sostegni, e stabiliranno cosa si deve produrre, cosa bisogna vedere, dove e quando.
C’è da registrare che all’indifferenza della classe politica di governo fa sponda un’opposizione incerta, preda anch’essa, probabilmente, di una cultura che in nome di una malintesa modernità , guarda al mercato con spirito gregario invece che con un approccio progettuale.
Ma esistono le eccezioni.
Sempre a fine anno l’assessore alla Cultura della Regione Toscana, Cristina Scaletti, ha proposto alla Giunta della Regione Toscana, che ha approvato all’unanimità , di ripristinare un regolamento della legge regionale del 2004: quello “” eliminato nel 2006 – concernente il parametro delle distanze minime per aprire nuove sale cinematografiche.
L’atto, che l’assessore aveva anticipato nell’intervista pubblicata su Cinema & Video International dello scorso novembre, vuole porre un argine alla chiusura dei cinema di città , ormai considerati una risorsa essenziale del cinema italiano.
Concetto ribadito anche recentemente dal presidente dei produttori Riccardo Tozzi, che, commentando “l’esplosione” dei film italiani in sala, che nello scorso gennaio hanno conquistato il 65% della quota di mercato, ne ha ascritto il merito alla varietà dell’offerta , garantita dalla varietà delle sale.
L’introduzione del regolamento dovrebbe avere come primo effetto a Firenze il divieto di aprire l’ormai famoso multiplex di Novoli.
Il temuto effetto ha aggregato un fronte contrario, costituito non soltanto dalla legittima opposizione degli imprenditori che si ritengono danneggiati, ma anche da autorevoli esponenti del partito di maggioranza in Regione e nel Comune di Firenze (il Partito Democratico), forti di una petizione popolare sottoscritta dagli abitanti del quartiere di Novoli a favore del multiplex..
Cristina Scaletti (Italia dei Valori) in una lettera aperta sulle pagine locali di un quotidiano, ha rivendicato la correttezza del principio alla base del provvedimento, “che segna una differenza sostanziale tra il compito di un’istituzione pubblica e quello di un privato”.
Se, infatti, quest’ultimo è legittimato a perseguire la logica del profitto, l’istituzione pubblica ha invece il dovere di intervenire, laddove “il regime concorrenziale tra privati non sia sufficiente per raggiungere un interesse collettivo”.
E ancora: “Creare una giusta armonia tra le leggi del mercato e la difesa della cultura e dell’identità non può essere altro che una missione pubblica”.
La legge attende, nel momento in cui scrivo, il parere della Commissione Cultura, formalmente non vincolante ma politicamente qualificante; e qui è prevedibile che trovi ostacoli.
A prescindere da come andrà a finire “” tutto ciò che ha a che fare con il multiplex di Novoli si tinge di giallo – trovo esemplare il comportamento dell’assessore Scaletti che, invitando a recuperare il primato della politica, sta a ricordarci che la collettività si governa non soltanto con le leggi , ma anche e soprattutto con i modelli che si producono
Paolo Di Maira