La Golden Age del documentario italiano è un’onda lunga: iniziata con “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi, Leone d’Oro a Venezia 2013, continua, sempre grazie a Rosi, con “Fuocoammare”, prima Orso d’Oro a Berlino 2016, poi nella cinquina nalista dei candidati agli Oscar 2017.
Si è alimentata di fenomeni come“ Bella e perduta” di Pietro Marcello, Pardo d’Oro a Locarno 2015, “Lousiana” di Roberto Minervini, selezionato a Cannes 2015 in Un Certain Regard, “L’ultima spiaggia”, unico film italiano in selezione ufficiale a Cannes 2016.
E potremmo aggiungere “TIR” di Alberto Fasulo, nato come documentario per poi approdare alla finzione, vincitore del Marc’Aurelio al Festival del cinema di Roma 2013.
Ma questi riconoscimenti internazionali sono sufficienti a decretare la fortuna del documentario in Italia?
La voglia di occuparcene più a fondo ci è venuta con l’apertura del cinema La Compagnia a Firenze: iniziativa coraggiosa, indubbiamente resa possibile dal fatto che la gestione fa capo a un Ente pubblico, la Regione Toscana, ma non per questo avulsa dal mercato.
Alcuni dati – non tanto la mole forse eccessiva di produzioni di film documentari, quanto la crescita di quelli distribuiti in sala negli ultimi anni- ci dicono che un mercato, anche se di nicchia, per questo genere di film esiste; che non è lo stesso del cinema mainstream e nemmeno soltanto quello dei cinefili; che la sua identità e la sua di usione sono fortemente ancorate al territorio.
Di qui la scelta di organizzare la “ricognizione” per regioni (non tutte, e ce ne scusiamo, ma torneremo sul tema e colmeremo le lacune), avendo conferma della stretta connessione tra internazionalità e identità locale, e verificando l’inadeguatezza dei tradizionali metodi distributivi.
Finora il documentario italiano ha inanellato successi viaggiando per i Festival internazionali. Si è fatto interprete di una spinta innovatrice, e ha le potenzialità per far emergere o ri-emergere un pubblico nuovo o che al cinema non ci va più.
Come, cerchiamo di scoprirlo .