E’ recente la notizia che la Film Commission Torino “” Piemonte ha rilevato la quota produttiva che la compagnia di produzione statunitense Endgame Entertainment LLC deteneva nella società d’investimenti Film Investment Piedmont (FIP).
Ciò che qualifica l’operazione non è tanto l’aspetto finanziario (la Film Commission già deteneva l’82% della società ), quanto il cambiamento di strategia.
Il FIP era nato con l’ambizione di attirare le produzioni americane in Piemonte: non soltanto per la realizzazione delle riprese, ma anche per le fasi di post-produzione, esistendo nel capoluogo piemontese un struttura in questo specializzata come i Lumiq Studios.
Dopo un anno e mezzo di vita, attraversato dall’annuncio di un film di cui non si conoscono gli sviluppi, la società statunitense è uscita di scena, e con essa gli obiettivi iniziali.
E il Lumiq non è decollato.
Infatti, il FIP riparte con un capitale notevolmente ridimensionato “” 4 milioni e mezzo rispetto ai 14 all’epoca della costituzione “” e con una nuova strategia.
Verranno privilegiati i prodotti europei, verosimilmente italiani – ma immutata è la vocazione al rischio: infatti, il sostegno finanziario si attuerà attraverso la partecipazione produttiva ai film.
Per far questo verrà creata una nuova società , interamente controllata dalla Film Commission Torino Piemonte; il consiglio d’amministrazione sarà costituito in luglio e dovrebbe essere presieduto da Steve Della Casa , attuale presidente della Film Commission .
Il capitale di rischio è presente anche nel Fondo Cinema della Regione Toscana.
La Toscana varò nello scorso anno un sistema di sostegno al cinema che potremmo definire “misto”: sostegno a fondo perduto per sceneggiature, documentari e opere prime; per le opere seconde ( tutto ciò che non è opera prima) sostegno sotto forma di partecipazione in quota produttiva.
Una scelta originale, animata dalle migliori intenzioni: sostenere gli esordienti e quei generi che sono fuori dal mercato, e contemporaneamente scommettere su prodotti che sono dentro il mercato, ma che rispondano ai requisiti della qualità e della valorizzazione dell’identità regionale.
Nello scorso mese di maggio sono uscite le graduatorie concernenti le domande presentate entro il 2009, ma non sono ancora state pubblicate quelle concernenti le opere seconde, che rappresentano la quota più sostanziosa del Fondo.
Già nello scorso numero Cinema & Video International segnalò il ritardo ( titolammo “Il Fondo si inceppa”).
A questo punto, siamo a fine giugno, viene da pensare che il meccanismo si sia addirittura bloccato.
Ciò che permette una relazione tra il FIP e il Fondo Cinema della Toscana è la presenza, seppure con peso molto diverso, del capitale di rischio in un fondo pubblico.
E’ una questione che merita più approfondite e competenti riflessioni, e sarà utile tornarci nei prossimi numeri della rivista.
I problemi di funzionamento di alcuni dei meccanismi di finanziamento regionale affiorano in un momento in cui “” con una ricerca-denuncia del sindacato di categoria “” è “esploso” il fenomeno delle delocalizzazioni . Un fenomeno divenuto tale a causa della tendenza sempre più diffusa da parte delle produzioni audiovisive italiane a “girare” all’estero.
Alla delocalizzazione viene dedicato ampio spazio: sia nel servizio di Adriana Marmiroli, che ha raccolto l’opinione dei produttori e del sindacato di categoria , sia nello scenario disegnato da Alberto Pasquale, che mette in relazione ( una relazione potenzialmente pericolosa) il fenomeno delle delocalizzazioni con il tax credit.
Lo scenario che si delinea è quello di un’industria audiovisiva che si comporta come gran parte delle imprese manifatturiere.
In casa rimane il “concept”, la lavorazione si fa fuori. Ma non bisogna dimenticare che i nostri migliori talenti ( quelli che vengono definiti le “eccellenze”) sono i “tecnici” (direttori della fotografia, scenografi, costumisti, montatori, fonici e così via), grazie a cui quasi ogni anno l’Italia può vantare una presenza nei premi Oscar .
Sono quelle professionalità che la delocalizzazione inevitabilmente impoverisce e che difficilmente l’arrivo di produzioni estere in Italia è in grado di compensare.
Paolo Di Maira