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direttore Paolo Di Maira

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THALITA MALAGÓ / Il Gioco si fa serio

La terza edizione di First Playable, l’evento di business dedicato al mondo del videogame, si apre all’indomani dell’attivazione del Fondo del MISE

Qualche settimana fa il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha firmato il Decreto Attuativo per il Tax Credit sui videogiochi (leggi qui), che è adesso in attesa del passaggio in Commissione Europea.

Tutto questo è anche il frutto del lavoro di Thalita Malagò e dell’associazione degli sviluppatori di giochi italiani da lei diretta, IIDEA. Della loro costante attività di networking e lobbying istituzionale, le prime edizioni del mercato First Playbale sono state strumento fondamentale. 

Da anni – conferma Malagò – siamo impegnati nel promuovere il settore con le istituzioni, guardando all’esperienza dei paesi europei che hanno puntato sullo sviluppo dell’industria dei videogiochi.  Nelle nostre proposte abbiamo cercato di agire sul tax credit, strumento importante per attrarre investimenti internazionali sui progetti italiani”. 

First Playable: come ci siete arrivati?
Per diversi anni abbiamo accompagnato le delegazioni delle imprese italiane nelle fiere di settore, all’estero: la Gamescom di Colonia, la GDC (Game Developers Conference) a San Francisco, il London Games Festival a Londra. 
Ci siamo resi conto però che, nonostante il supporto imprescindibile di ICE, non era facile far partecipare le imprese più piccole: se volevamo ampliare la platea, dovevamo puntare i riflettori sull’Italia, costruendo un evento vetrina.
Da qui è nata anche l’idea di premiare le produzioni e i professionisti italiani con gli Italian Video Game Awards: quest’anno avremo in giuria 8 esperti internazionali, e l’evento avrà una conduzione mista Italia-Gran Bretagna. 

Non solo i premi, ma anche il Mercato. Come si articola?
Nei panel si parlerà soprattutto di business development, marketing, relazioni pubbliche: tutto ciò che può aiutare cioè le imprese locali a crescere guardando al mercato internazionale.
Questo è un settore che già di per sé opera sul mercato estero, se pensiamo che il 94% del fatturato dei nostri sviluppatori proviene da lì: nostro obiettivo è dunque rafforzare e sviluppare i loro contatti con gli editori o investitori stranieri. Già una cinquantina hanno confermato la loro presenza.

In questo, Toscana Film Commission è stato un partner lungimirante, che ci ha aperto le porte anche quando il settore non era ancora sulla cresta dell’onda, e ci ha sostenuto anche in tempi di Pandemia.

Di recente avete pubblicato un censimento sulle imprese di sviluppo in Italia: chi sono i creatori di videogiochi del nostro paese?
Sono soprattutto piccole imprese, dai 10 dipendenti in su, anche se è in aumento il numero delle aziende con più di 20 dipendenti (adesso sono circa il 20%) e 500 mila euro di fatturato.  
É un segnale di crescita: prima c’erano soprattutto microimprese o start up. Gli addetti sono passati dai 1100 del 2018 ai 1600 di quest’anno, ed è un’industria che impiega professionisti molto giovani (il 79% ha un’età inferiore ai 36 anni) e qualificati.
Il fatturato, come dicevo, proviene soprattutto dall’estero: il 60% dall’Europa, il 25% dal Nord America. L’Italia rappresenta solo il 6% del giro d’affari degli operatori locali. 
É cresciuto il supporto finanziario dei publishers (dal 21 al 28% degli sviluppatori) e anche il ricorso a finanziamenti pubblici e di istituti bancari.

Sul nuovo rapporto annuale sui videogiochi in Italia si legge: “Il brand building di successo rappresentato dalle aziende di moda, automobili e lusso, ha iniziato ad essere applicato da alcune aziende del settore videogiochi.  Se l’ecosistema produttivo dei videogiochi in Italia continuerà ad essere alimentato, i videogiochi “made in Italy” potrebbero essere in grado di assumere un ruolo di leadership in un futuro non troppo lontano. Può fare qualche esempio?
In Italia c’è una grossa tradizione e specializzazione nella produzione di videogiochi di corse automobilistiche, e abbiamo varie aziende che sono un’eccellenza in questo campo, come Milestone, la principale impresa italiana con sede a Milano e più di 200 dipendenti, due anni fa acquisita da un gruppo internazionale; o Kunos Simulazioni, altro sviluppatore che fa capo al gruppo Digital Bros, quotati in borsa, e famosi per il loro gioco “Assetto corsa” che è un gioco di simulazione di corse. Abbiamo poi diverse altre realtà che operano in questa specifica branca di produzione, ma in realtà la produzione italiana è molto variegata, c’è una pluralità di generi, a riprova del fatto che siamo un paese molto creativo.  

Recentemente è uscito “Hundred days”, un manageriale sul vino, che insegna come coltivare una vigna e produrre il proprio vino, sviluppato dallo studio indipendente piemontese Broken Arms Games; o “Mario+Rabbit Kingdom Battle” creato dalla società multinazionale Ubisoft Milan che si è contraddistinta qualche anno fa creando una nuova IP dall’unione di due icone paradigmatiche dei videogiochi, come Super Mario Bros della Nintendo e i dispettosi Rabbits della Ubisoft, e di cui recentemente ha annunciato il nuovo capitolo “Sparks of Hope”, di cui ha presentato l’anteprima alla I3, una delle fiere più importanti a livello internazionale: arriverà  nel 2022 su Nintendo Switch.

In generale le produzioni italiane stanno crescendo in qualità e stanno aumentando le produzioni su consolle.

Un altro gioco che mi fa piacere citare è “Pride run”, sul movimento LGTB, prodotto da IV production 

C’è una crescente attenzione a certi temi, quali la parità di genere l’impatto sociale e ambientale dei giochi, proprio come accade nel mondo del cinema.
Sì, ci sono giochi che sono dei veri e propri “portabandiera” della parità di genere, come “Pride Run” appunto, o “Tell me why”, avventura narrativa di Dontnod Entertainment, che ha protagonista un transgender.
In generale, sempre più prodotti hanno donne come protagoniste o con un ruolo centrale narrativo, personaggi non stereotipati, ma specchio della complessità psicologica del genere umano. L’ esempio più celebre in assoluto è Lara Croft, anche se ormai datato, più recenti sono Ellie in “The last of us” di Sony, o Aloy in “Horizon Zero Dawn”

Dal punto di vista dell’impatto ambientale, oggi i videogiochi vengono distribuiti soprattutto in formato digitale, abbattendo quindi la necessità di una produzione fisica e i relativi costi ecologici.
Inoltre, durante la pandemia, i giochi hanno dimostrato di poter essere uno strumento di superamento del distanziamento sociale, creando momenti di aggregazione online e spesso anche permettendo un miglior benessere. 

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