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TENDENZE/Gli Indipendenti scoprono il genere

di Adriana Marmiroli


Il cinema cambia.
Cambia la fruizione del prodotto, i luoghi della sua fruizione: dalle sale alle multisale, ai multiplex.
Le reti televisive scoprono reality, fiction e serie Usa e riducono la quota di cinema in onda.
 La nuova frontiera del satellite e del dvd privilegia i blockbuster. Internet sta muovendo i primi esitanti passi.
L’aria pare non essere troppo serena per il cinema d’autore, per i piccoli film tutti da scoprire, per le cinematografie e gli autori emergenti (che poi però quando emergono fanno la ricchezza culturale ed economica di tutti), che continuano tuttavia ad avere un loro pubblico di affezionati, tra gli stessi distributori oltre che tra gli utenti, che non vuole essere abbandonato e deluso.
Il mercato (leggi: distribuzione) indipendente fiuta l’aria che cambia e si adegua.
Ciascuno con una sua ricetta.


Che fare in questo momento se non vuoi abbandonare il cinema d’autore, non sei più tanto piccolo, hai un nome e un’esperienza consolidata in qualche decennio?


 Lo abbiamo chiesto ai responsabili di alcuni dei più importanti marchi attivi in Italia in questa area.
Puntare sui titoli di genere che possano interessare tv e multiplex ma che non rinuncino a un “bollino di qualità “, fare gruppo contro i gruppi, creare “linee” o marchi paralleli in cui dirottare titoli più squisitamente commerciali.


E’ la strategia che sta praticando Andrea Occhipinti con la sua Lucky Red e il rigenerato marchio KeyFilms.
Da una parte “questa situazione ci ha spinto all’acquisizione di opere d’autore che abbiano una maggiore visibilità , per il nome del regista o degli interpreti, o perché presentati ai qualche festival”.
Tuttavia si tratta di un cinema dove la concorrenza è sempre più agguerrita, in cui pescano non solo gli indipendenti ma ora anche le major.
“Ora i miei competitor si chiamano Fox, Warner, Sony, che possono fare proposte per me impossibili.
Per questo ci siamo organizzati: abbiamo fatto una società  a Parigi con altri quattro distributori di altrettanti paesi europei (Francia, Svizzera, Olanda, Belgio), compriamo film insieme, ciascuno per il suo territorio. “Thank you for smoking” è stato il primo acquisto di gruppo”.
Anche per quanto riguarda l’esercizio, ricorda, per sottrarsi all’egemonia dei multiplex, è stato creato l’ “alternativo” Circuito Cinema, specializzato in cinema d’autore, italiano ed europeo, che vede uniti Mikado, Luce, Bim e da qualche mese, parzialmente, Medusa (ha messo a disposizione delle sale a Roma).

Una risposta è comunque anche quella di seguire la corrente, adeguarsi al mercato, proponendo cinema di genere e commerciale, salva restando l’immagine di Lucky Red.
Così questo tipo di pellicole è stato fatto confluire in KeyFilms.
“Lo abbiamo acquisito circa un anno fa , decidendo che qui sarebbero confluiti i nostri titoli puramente commerciali, come “Rush Hours”, “1408”, “Halloween”, in modo da non confondere il nostro pubblico.
Se voglio continuare a fare cinema d’autore, non ho alternative…”. Parola d’ordine: diversificare.


Anche Mikado si pone sulla strada della diversificazione dei titoli e del pubblico.
Alessandro Usai conferma un cambiamento in corso nei listini della casa, dove, grazie alle risorse messe a disposizione da un azionista “solido” come De Agostini, sono possibili investimenti più consistenti nell’acquisto dei film: si resta nell’alveo del cinema di qualità , ma lo si sceglie anche in base alle maggiori potenzialità  commerciali.
Parla di “acquisti mirati spendibili anche nel circuito dei multiplex, seppure dai costi non folli”.
E cita “Nella valle di Elah” e “Funeral Party” come esempi: il primo con l’appeal di attori come la Theron e Lee Jones, ma soprattutto la scrittura e la regia di Haggis (“La sceneggiatura continua a contare per noi più del luccichio delle star”); il secondo decisamente “commerciale ma con la dignità  di un’opera non retriva, non targettizzata generazionalmente”.
Spiega che, più che di un cambiamento di rotta, per Mikado si tratta di un “aggiustamento della linea editoriale precedente”, di cui si vedevano già  tracce nel listino 2007, che in quello 2008 vengono portate a compimento.
“Avremo meno titoli, ma più importanti: in totale una quindicina di cui almeno la metà  forti, gli altri ascrivibili alla categoria “sorprese”.
Ed elenca “I cacciatori- The Hunting Party” con Gere, “The List.” con Jackman e McGregor, “How to Lose Friends & Alienate People” con Jeff Bridges, Kirsten Dunst e l’astro nascente della comicità  inglese Simon Pegg, “Blindness-Cecità ” di Meirelles da Saramago con la Moore, Bernal e Ruffalo, “L’occhio del ciclone” di Tavernier con Lee Jones, “L’innocenza del peccato” di Chabrol con la Sagnier, oltre naturalmente agli italiani “Hotel Meina” di Lizzani, “Aspettando il sole” di Panini con Bova, “La seconda volta non si scorda mai” con Alessandro Siani.


Per quanto riguarda l’uso di un sottomarchio in cui far confluire il prodotto più di genere, Mikado è forse stata la prima a muoversi in questo senso con TimeCode.
“Un tentativo naufragato “” secondo Usai -, perché di fatto mancavano i titoli.
E quelli che c’erano erano marginali.
Ma avere una seconda linea autonoma è comunque un’idea a cui non siamo refrattari.
Si tratta di definirne meglio i contenuti, e di decidere se darle un nome nuovo o resuscitare il vecchio logo TimeCode”.
Meglio se il genere è d’autore.


 Chi non sente invece la necessità  della differenziazione e dell’apertura al cinema commerciale e di genere è Valerio De Paolis.
La ricetta di Bim sta, secondo lui, in un listino ricco che proponga autori di importanza internazionale, gente da Oscar, attori di grido, in grado di reggere l’impatto di un mercato nuovo, di arrivare ai multiplex e contemporaneamente non disattendere le attese di chi vede in quel logo una garanzia di qualità .
Magari stupito di come non siano stati capiti dal mercato opere che definisce “sfortunate” come “Io non sono qui” o “Un’altra giovinezza”, tuttavia convinto della bontà  di scelte che sono secondo lui “anche” commerciali (e quindi tali da traghettare Bim nei multiplex) e da cui si aspetta ottimi riscontri: “Into the Wild-Nelle terre selvagge” di Penn, “Lussuria” di Ang Lee, il cartoon “Persepolis”, “I padroni della notte”, “Shine a Light”, il film sui Rolling Stones di Scorsese.
“Per me sono film di qualità .
E titoli commerciali”.

Semmai, ammette, è il cinema europeo che sta vivendo un momento di oggettiva difficoltà  dal punto di vista distributivo-commerciale:
“E’ sempre più difficile che si ripaghi in un mercato che si è rarefatto”, è il giudizio lapidario.
Salvo poi avere avuto in carniere (ammette) opere come “The Queen” da cui nessuno si aspettava niente di particolare e che invece hanno incassato più che bene.


Non crede invece che la risposta per risollevare le sorti (e le casse) dei distributori indipendenti sia nel cinema di genere.
“Va bene in tv e nell’homevideo. Ma va bene soprattutto per chi lo sa fare.
A me di fondo non interessa, a meno che non abbia intrinseche qualità  autoriali, come, per esempio, “I padroni della notte””.

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