di Alberto Pasquale
Mentre la Commissione Europea approva una prima
parte degli incentivi fiscali a favore del cinema varati con la finanziaria
2008, sintetizziamo gli aspetti più rilevanti del nuovo sistema, tra vincoli da
rispettare, grandi aspettative del settore e rischi di sterilizzazione della
portata innovativa delle nuove misure. «è necessario rispondere anzitutto ad un
quesito: è possibile l’avvento di un Cinema europeo? Il quesito presenta tre
aspetti: politico, economico ed extraeconomico, intendendo per quest’ultimo
tutto ciò che si riferisce all’opera cinematografica in sé». Così scriveva nel
1953, cinquantasei anni fa, Enrico Giannelli, responsabile dell’Ufficio Studi
Economici dell’ANICA nel suo libro Cinema Europeo. L’Unione Europea non esisteva
ancora, sarebbe stata costituita quattro anni più tardi come Comunità Economica
Europea (CEE), col Trattato di Roma firmato il 25 marzo del 1957.
GLI AIUTI DI STATO E L’ECCEZIONE
CULTURALE
Se l’aspetto politico è stato affrontato e risolto con la creazione
dell’Unione, quello economico e quello extraeconomico (leggasi “culturale”) si
sono intrecciati.
Giannelli aveva in mente una Europa del Cinema che vedeva
al suo interno la libera circolazione dei prodotti e, soprattutto, la produzione
di film dall’identità sovranazionale (appunto, europea).
Non considerava le
difficoltà legate all’«eccezione culturale» o alla «diversità culturale».
Come oggi sappiamo, queste ultime sono legate alla possibilità per i vari
Stati membri di ricorrere agli «aiuti di Stato».
L’articolo 87 del Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993,
proibisce infatti tali aiuti, per impedire che l’intervento dei governi dei
Paesi Membri possa alterare la concorrenza e il commercio all’interno
dell’Unione.
Tuttavia lo stesso articolo consente alla Commissione Europea
di esonerare da tale divieto alcuni tipi di aiuti in considerazione dei loro
effetti.
Tra i settori “protetti”, rientra anche la promozione della
cultura: viene infatti introdotta una specifica eccezione al principio generale
di incompatibilità proprio in relazione agli aiuti concessi dagli Stati Membri
per promuovere la cultura.
Il regime europeo di aiuti alla produzione
cinematografica e televisiva, predisposto nel 2001, avrebbe dovuto cessare nel
giugno del 2004 ma, grazie a tre provvedimenti di proroga, rimarrà valido fino
al 31 dicembre 2012.
Secondo la Commissione, per essere ammessi, gli aiuti di Stato nel settore
devono rispettare determinati criteri. Quelli attuali possono continuare, per il
momento, a promuovere la creazione culturale e garantiranno che gli aiuti
concessi alla produzione cinematografica ed audiovisiva non
incidano sulle condizioni della concorrenza e degli scambi in misura contraria
agli interessi comuni.
Tuttavia sono emerse diverse tendenze che
richiederanno, a tempo debito, il perfezionamento di tali criteri.
Tali
tendenze comprendono il finanziamento di aspetti diversi dalla
produzione cinematografica e televisiva (quali la
distribuzione dei film e la proiezione
digitale), ulteriori piani regionali di sostegno al
cinema, nonché la concorrenza tra alcuni Stati membri per l’utilizzo degli aiuti
di Stato per attirare gli investimenti esteri di imprese
produttrici di film su vasta scala, prevalentemente statunitensi.
Si tratta
di questioni complesse che richiederanno la riflessione insieme agli Stati
membri e agli organismi nazionali e regionali a sostegno al cinema al fine di
elaborare criteri appropriati.
La Commissione ha pertanto deciso di continuare ad applicare gli attuali
criteri fino alla data in cui entreranno in vigore le nuove norme sugli aiuti di
Stato per le opere cinematografiche e le altre opere audiovisive e comunque,
come si è detto, non oltre il 31 dicembre 2012.
IL “CULTURAL TEST”
La Commissione è sempre più impegnata a fare in modo che gli schemi
sottoposti a valutazione di compatibilità siano effettivamente coerenti con le
condizioni culturali, per le quali sussiste la suddetta deroga
a favore degli aiuti pubblici.
La valutazione degli schemi si fonda allora sull’analisi dei cosiddetti
cultural test, ovvero “griglie” contenenti gli specifici criteri di
eleggibilità , cui è associato un sistema di punteggio minimo e massimo
ottenibile per ciascun film.
Proposti dalle Autorità nazionali, i “test”
vengono sottoposti al vaglio della Commissione, proprio allo scopo di verificare
il concreto ed effettivo legame tra l’aiuto concesso e il prodotto culturale che
ne beneficia.
Vedremo che anche nel caso dell’Italia questi test si
apprestano a giocare un ruolo importante.
Il 23 dicembre del 2008, la Direzione Cinema del MiBAC comunicava che cinque
giorni addietro, il 18 dicembre, la Commissione Europea ha approvato un
primo pacchetto di misure di incentivazione fiscale per il
cinema «per 104 milioni di euro», proposte dal Governo italiano.
L’autorizzazione di Bruxelles riguarda i crediti d’imposta (tax credit) e la
detassazione degli utili (tax shelter), relativi alle spese e agli investimenti
da parte delle imprese di produzione cinematografica per la realizzazione di
film, contenuti nella precedente legge finanziaria (legge n. 244 del 2007).
La decisione di autorizzazione comunitaria è la N 595/2008 e la sua versione
pubblica non è ancora disponibile, perché deve essere emendata delle
informazioni riservate in essa contenute.
I decreti di
attuazione collegati alle misure di incentivazione, avuto il
beneplacito UE, devono affrontare una serie di adempimenti interni, prima della
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e dell’effettiva applicazione.
Intanto, la seconda parte del pacchetto di benefici fiscali (quelli
concernenti sia gli investitori esterni che le imprese
di distribuzione e di esercizio, sui quali l’UE ha
chiesto all’Italia di poter condurre ulteriori approfondimenti, in quanto del
tutto nuovi nel panorama comunitario), verrà a sua volta notificata a Bruxelles
nei prossimi giorni.
La durata del provvedimento va dall’1 giugno 2008 al 31
dicembre 2010. Si tratta dunque di una misura retroattiva che beneficia, come si
è detto, solo una componente della cosiddetta filiera cinematografica:la
produzione.
Per essa l’iter di autorizzazione è stato più
semplice rispetto alle altre misure progettate, in quanto esistevano già dei
“modelli” ai quali fare riferimento.
La lentezza nell’iter di approvazione è
dovuta, al di là delle traversie sopportate dalla norma, abrogata e poi
riesumata nel corso del 2008, dalla specificità tutta italiana di voler
abbracciare per l’appunto un’operazione di filiera, nell’intento di coinvolgere
anche i segmenti della distribuzione e dell’esercizio.
Tuttavia, la vera
novità , anch’essa in attesa di approvazione, è la possibilità di accesso agli
incentivi da parte di soggetti “esterni” al settore.
E’ una novità in
quanto con essa si vuole avvicinare al settore cinematografico il mondo delle
imprese e della finanza, da sempre restio ad investire in Italia in questo
business.
Ma, come si è detto, occorre aspettare”¦
LA NORMATIVA APPROVATA A
BRUXELLES
Guardando alla normativa già approvata e alle bozze dei decreti ministeriali
di attuazione, è interessante rilevare alcuni aspetti:
- Come si è detto, per ora sono stati approvati
solo gli incentivi “interni”, destinati a imprese di produzione
(tax credit e tax shelter), di produzione esecutiva e
di post-produzione (solo tax credit).
- Il tax shelter, che conta su
uno stanziamento di 30 milioni di euro (5 milioni per il 2008, 10 per il 2009 e
15 per il 2010) è una misura in qualche modo “sperimentale”, di non facile
applicazione e destinata ad esaurire la sua dotazione per ordine di
presentazione delle istanze.
Immaginiamo che essa non possa divenire
efficace prima dell’approvazione del tax shelter esterno, altrimenti gli
investitori esterni troverebbero la “fila allo sportello” (e le risorse
diminuite o addirittura esaurite) prima ancora di essere legittimati ai
benefici.
- Il tax credit non ha un plafond.
Si stima tuttavia che, nella versione “completa”, valga 16,7 milioni di euro
per il 2008 e 66,8 milioni di euro per il 2009 e per il 2010.
Se ci
limitiamo al solo tax credit interno destinato alla produzione, su 200 milioni
di euro investiti all’anno il valore è di 30 milioni. Quanta parte di tale
ammontare si tradurrà in investimenti aggiuntivi, quanta in riduzione dei costi
e quanta in una semplice sostituzione di risorse precedentemente a carico del
FUS con altri capitoli del bilancio dello Stato (nella fattispecie il “Fondo per
le esigenze gestionali”, istituito dal Dl 93/2008) è da
vedere.
- Per ottenere l’approvazione di Bruxelles, i
film beneficiari devono superare, come si è detto, un “test culturale” a
punteggio.
I lungometraggi, per essere considerati di “nazionalità
italiana”, devono raggiungere un punteggio minimo in riferimento a tre
“blocchi”: A) Contenuti (vale per il 60%),
B) Talenti creativi (20%),
C) Produzione (20%).
Mentre i blocchi B e C fanno sostanzialmente
riferimento al “passaporto” dei talenti e al luogo di effettuazione delle
riprese, il blocco A richiede, per ottenere punti:
- che il film faccia riferimento a libri o opere
teatrali italiane o europee;
- che vengano trattate tematiche e/o personaggi
storici, leggendari, religiosi, sociali, artistici o culturali italiani o
europei;
- che il film sia ambientato in buona parte in
Italia o che di essa valorizzi il patrimonio artistico, architettonico ed
archeologico.
La preferenza per la trasposizione filmica di opere
preesistenti non ci sembra che incoraggi l’innovazione (8 e ½ di Fellini
risponderebbe a questi criteri?).
Stesso esame da superare per i “film con
risorse finanziarie modeste”, dal costo non superiore a 1,5 milioni di euro.
Tuttavia per essi l’aiuto di Stato può superare il 50% del costo ed arrivare
all’80%.
- I criteri di cui sopra diventano più stringenti per
i film “di interesse culturale”.
Per beneficiare degli incentivi, devono
ottenere anche un punteggio “discrezionale” e cioè passare al vaglio di una
commissione.
Se quest’ultima può premiare l’originalità dell’idea, quando si
passa al punteggio “non discrezionale” vale il curriculum del regista e del
cast, il “peso” dei premi vinti e della partecipazione ai festival, con buona
pace delle nuove leve che potrebbero rinnovare il mercato.
- è pur vero che esiste una categoria di “film
difficili”, anch’essa beneficiaria potenziale dell’80% di aiuti di Stato, e
nella quale rientrano le opere prime e seconde, i documentari, i cortometraggi e
le opere prodotte dalle scuole di cinema riconosciute dallo Stato, ma anche per
essi la discrezionalità della commissione di valutazione è elevata.
- Infine, anche per gli stranieri che vogliono girare
in Italia c’è un punteggio da conseguire e, al di là dell’ambientazione e
dell’effettuazione delle riprese in Italia e dell’utilizzo parziale di talenti
italiani ed europei, si vorrebbe che il soggetto e/o la sceneggiatura del film
sia tratta da opera letteraria (perché?) e che riguardi un avvenimento storico,
leggendario, religioso, sociale, artistico o culturale.
I RISCHI DELLA DISCREZIONALITA’
In definitiva, a prima vista ci sembra che ad oggi le misure adottate siano
ancora quantitativamente esigue e all’apparenza consistano in un semplice
trasferimento di fondi da un capitolo all’altro del bilancio statale.
Inoltre, l’intervento esterno e la “logica di filiera”, vera innovazione di
sistema, hanno subito una battuta d’arresto.
Per quanto riguarda i requisiti
di nazionalità , forse si corre il rischio di frenare l’innovazione.
Certamente si limita l’orizzonte delle possibili ispirazioni creative.
Ancora, se questo nuovo sistema intendeva attenuare la discrezionalità delle
erogazioni, a favore di un “corto circuito virtuoso” tra investitore e
beneficiario, si profila all’orizzonte l’eventualità che il flusso di risorse
passi sempre e comunque attraverso le solite strutture e le consuete
procedure.
Se si avverasse, questa ci sembra la conseguenza più grave, in
quanto tradirebbe la filosofia del nuovo sistema: le risorse esterne, anziché
indirizzarsi ai prodotti scelti dagli investitori, verrebbero dirottate sui film
col punteggio (talvolta anche discrezionale) più alto.
Quel che conta, per
l’investitore esterno, è il punteggio minimo, non quello massimo.
Se al
finanziatore interessa il progetto A, con 50 punti (il minimo accettabile),
investirà in A e non in B, anche se quest’ultimo ha totalizzato 80 punti.
Occorre ridurre al minimo i margini di discrezionalità (arbitrio?) delle
varie commissioni, nei casi in cui sono chiamate a pronunciarsi.
Va evitato
il rischio che la morale gattopardesca, ancora una volta, faccia capolino
all’interno del sistema.
Un’ultima considerazione per quanto riguarda gli incentivi alla
digitalizzazione delle sale, ancora al vaglio di Bruxelles.
Alcuni
sostengono che non ci sarebbero correlazioni «tra beneficio ed aspetti di
culturalità dei film programmati nelle sale».
Come si è visto, la
Commissione sta esaminando il tema.
Forse ci si potrebbe chiedere a che
serve produrre (e distribuire) cultura se poi la fruizione non avviene
attraverso mezzi tecnologicamente competitivi rispetto alle migliaia di
alternative “non-culturali”.
A tale proposito, torniamo al già citato testo
di Giannelli, laddove parla del cinema «3 D», che lui definisce «film a
rilievo»:
«Il film a rilievo è, proprio in questi tempi, in fase di pieno
sviluppo e già si profila l’eventualità che esso sia destinato a rivoluzionare
la cinematografia, così come nel passato essa venne rivoluzionata dall’avvento
del film sonoro e, più tardi, da quello del film a colori.
Il problema è di
portata imponente poiché comporta una rivoluzione nella tecnica delle
attrezzature, nei costi, non soltanto dell’apparato produttivo ma anche dei
cinematografi.
E’ una evoluzione inevitabile e, come ogni conquista del
progresso, auspicabile, ma di fronte alla quale sono destinate a soccombere le
industrie di produzione meno agguerrite.
E’ dunque un campo in cui occorre
essere presenti, ma che richiede un elevato potenziale industriale.
Un
potenziale industriale raro in Europa, oggi.
Ma è un potenziale industriale
perseguibile attraverso la solidale ed armonica collaborazione ed integrazione
delle industrie di produzione europee». Correva l’anno 1953″¦