Un’ora di video streaming equivale all’emissione, in media, di 56 grammi di carbone, l‘equivalente di guidare una macchina per 250 metri o di usare un bollitore per 6 minuti. E’ quanto emerge da Dimpact, iniziativa realizzata dalla società di consulenza britannica Carnstone, in partnership con l’università di Bristol, che coinvolge società fra cui Netflix, BBC, ITV, Sky, BBC.
Il risultato è un calcolatore che rivela l’impatto ambientale delle piattaforme digitali. Ne ha parlato William Pickett, all’Industry Village del Les Arcs Film Festival all’interno del panel Digital Era: Environmental Impact Of Television And Cinema. La riflessione che ogni anno il festival dedica alla sostenibilità (leggi qui) quest’anno pone l’accento sull’ impatto crescente, e che non può essere più ignorato, provocato dal boom dello streaming e dalla continua evoluzione digitale dei processi di produzione e post-produzione.
“La responsabilità di un audiovisivo più sostenibile e green è sempre stata ‘addossata’ alla produzione, ma adesso è il momento di allargare lo sguardo agli streamers, ai broadcasters, ai produttori di tecnologia” ha dichiarato Julien Tricard, produttore e fondatore di MediaClub Green che ha moderato il panel assieme a Birgit Heidsiek, giornalista di Green Film Shooting
Presto ci sarà un ‘carbon budget’ anche per le produzioni e le acquisizioni dei VOD Players, una linea di costi relativi alle emissioni che non si può superare: ne è convinto Cedric Lejeune, di Workflowers, società di consulenza francese che lavora con società televisive, cinematografiche, di video games per aiutarle a sviluppare strategie di riduzione delle emissioni: “Ma siamo ancora in una fase in cui è necessario prima di tutto fargli capire da dove vengono. I trasporti ad esempio: è importante che si crei la consapevolezza che per quanto questi rappresentino una parte piccola del budget di produzione, il loro impatto è enorme.”
E il primo passo verso la consapevolezza è il calcolatore.
Il calcolatore sviluppato da Dimpact non pone nessun obbligo ai grandi gruppi di rivelare i loro dati di consumo: molti però, hanno deciso di renderli noti, e di realizzare un libro bianco: “si sta facendo qualche passo in avanti verso la trasparenza dei livelli di emissione dei grandi centri di dati”, rivela Pickett, ovvero di quei luoghi fisici dove sono immagazzinati terabites di file che alimentano la nostra fame crescente di contenuti digitali.
Il consumo, in questo caso, è di energia elettrica.
Ma non solo.
Ci sono poi da considerare i costi ambientali prodotti dalla inarrestabile corsa all’innovazione tecnologica, verso una definizione sempre più potente dell’immagine: dall’HD all’UHD, 4K, 8K, che fa percepire come obsolete molte attrezzature e porta a un ricambio continuo, con enormi costi in termini di rifiuti.
Accelerazione spinta dai grandi streamers, che vogliono assicurarsi la più alta qualità dei contenuti per il maggior tempo possibile in un modo che, secondo Lejeune, non è poi però così razionale: “è necessario stabilizzare i processi di produzione”. Anche se, curiosamente, fa notare, non sempre scegliere di vedere un film in SD è meno ‘impattante’ che farlo in HD, “dipende da vari fattori, quali l’orario in cui si consuma, dove si trova il data centre nella cui memoria il prodotto è conservato e può essere recuperato…”
Insomma, non esistono risposte univoche, ma ancora molte domande, a cui sarà necessario rispondere nei prossimi anni: per il 1° gennaio 2024, conclude Tricard, il CNC ha annunciato nuove regole sulle emissioni, che riguarderanno tutta la catena dei players coinvolti nell’industria audiovisiva sostenuti dal centro francese per la cinematografia.