Sopravvivenza delle sale cinematografiche: “ E’ stato faticoso”, ha ammesso Mario Lorini, presidente dell’ANEC, l’associazione degli esercenti cinematografici, in apertura della conferenza stampa indetta ieri, 18 febbraio, “dover usare questa parola così grave”. Ma il titolo della conferenza è adeguato alla situazione, una situazione confusa che ingenera nel pubblico la convinzione di poter vedere dal proprio divano, entro poche settimane, i film destinati al cinema: gli effetti sul mercato sala sono evidenti, con 500 schermi che mancano all’appello del servizio Cinetel. “Le sale hanno cercato di reagire – ha detto Lorini . lavorando sulla ripartenza per almeno tre volte negli ultimi due anni, ma si sono dovute piegare alle forti restrizioni che ne limitano l’attività. Non possiamo più continuare così, anche alla luce dell’apertura completa che si sta annunciando nei Paesi europei per il nostro settore”.
Le ricette ANEC nell’immediato sono essenzialmente tre:
1) La cessazione delle norme restrittive anticovid particolarmente penalizzanti per la sala cinematografica.“Ieri è stato riammesso il consumo di cibo e bevande in sala. Vogliamo ora un calendario per sapere quando poter togliere le mascherine e fino a quando sarà necessario il green pass rafforzato”, ha chiesto il presidente ANEC.
2) Regole certe nella cronologia dei media ( l’annosa questione delle “finestre”, finora affidate a un gentleman agreement tra le parti) che assicurino la priorità della destinazione cinematografica dei film. La deregulation alimentata dalla pandemia ha divaricato i percorsi dei componenti la filiera (esercenti, distributori e produttori): “Dopo 9 mesi di incontri l’accordo non c’è stato”. Dunque, Lorini passa la palla all’arbitro, Dario Franceschini che presiede il dicastero della Cultura : “il Ministro deve decidere”.
3) Una riflessione sul prodotto nazionale alla luce dei deludenti risultati in sala.
“Nel 2021 – ha ricordato il presidente ANEC – sui 353 film usciti in sala, 151 erano italiani, quasi la metà, a fronte di una quota nel box office che non ha superato il 20%, per di più concentrata su 5 film”.
La cattiva performance è ancora più bruciante se si considera che – sempre secondo i dati riportati dall’ANEC – a fronte di oltre 900 produzioni approntate o in fase di completamento, al 99% finanziate dallo Stato, non più del 35% sembra destinato alle sale cinematografiche.
Se il mantra della sala quale “presidio culturale e sociale” è stata la premessa d’obbligo, gli interventi dei partecipanti all’incontro hanno messo in luce differenti visioni.
Il presidente dei produttori italiani dell’ANICA, Benedetto Habib, ha ammesso che dopo l’ottima performance del cinema italiano sulla soglia della pandemia,fino ai primi mesi del 2020, “ si sono disarticolati i sistemi”. Ha convenuto sull’opportunità di una riflessione , ma: “ il mondo è cambiato” ( altro mantra), e “la sala deve inventare un’esperienza in competizione con altri eventi”. Sull’opportunità di regolamentare le finestre d’uscita nei vari media, “i produttori italiani sono pronti, ma gli internazionali?”.
Più chiaro Luigi Lonigro, presidente dei distributori ANICA, il quale ha premesso che la sala cinematografica dev’essere prima un presidio industriale, e un’industria sana deve reggersi sulle proprie gambe. Ma se “ si scende sotto i 70 milioni di spettatori, molto probabilmente si perde il 50% delle sale” e il mercato crolla. Dal momento che le abitudini sono cambiate e hanno accentuato la fragilità di un mercato già debole, “l’unico strumento che può garantire al nostro segmento industriale di andare avanti è l’esclusività della sala per tutti i prodotti”; un periodo di programmazione esclusiva dei film in sala “che sia netta, e che sia comunicata chiaramente al pubblico, sia per il prodotto italiano che per quello internazionale”. “Occorre – ha ribadito Lonigro – un’intervento politico forte che decida se la sala è un presidio culturale che garantisce la vivibilità dei nostri centri cittadini”.
Chiara e forte anche la similitudine lanciata da Gianluca Bernardini, presidente delle sale di comunità ( ACEC): “ Così come la chiesa è il luogo di culto dei credenti, la sala è il luogo di culto del cinema”, ha detto, aggiungendo che per le sale associate è vitale la programmazione di profondità. “Il cinema è la religione e la sala è la sua chiesa”, ha rilanciato Domenico Dinoia, presidente delle sale d’essai (FICE), che oltre ad associarsi alla richiesta di una regolamentazione delle “finestre”, ha insistito sulla necessità di “ricostruire il rapporto con il pubblico distrutto da due anni di pandemia”, auspicando un rapporto nuovo con i distributori “ che permetta alle sale di gestire la programmazione con più dinamismo per garantire diversità di offerta”, e lanciando un appello agli artisti affinchè si uniscano allo sforzo collettivo per promuovere i film in sala. Appello prontamente raccolto dall’attore Fabrizio Gifuni, intervenuto in rappresentanza dell’UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), che lo ha plasticamente tradotto: “il film non basta – ha detto – occorre la presenza dei corpi”.
In conclusione, alcune delle proposte presentate nell’incontro:
– promuovere una parziale detassazione del biglietto dei cinema per introdurre una riduzione generalizzata agli spettatori under 18;
– dare vita a una campagna istituzionale sul Cinema al Cinema;
– organizzare una Festa del Cinema in primavera, accompagnata da una campagna di comunicazione – e una copertura stampa adeguata – delle uscite cinematografiche: troppo spesso si abusa della parola Cinema per promuovere altre forme di consumo di film;
– ritrovare la ricchezza e la certezza dei listini di nuove uscite in sala;
– assicurare maggiori investimenti dell’industria per bilanciare l’accesso agli spazi televisivi (gli spot milionari acquistati dalle piattaforme durante il Festival di Sanremo sono un esempio lampante).