Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, tre soggetti (a vario titolo “istituzionali”) sono ormai parte integrante, e importante, del mondo del documentario italiano, diventando un elemento imprescindibile –ove ne esistano le condizioni preliminari- in ogni serio piano di finanziamento dell’opera audiovisiva di carattere documentario: la Direzione Generale per il Cinema del MiBACT – Rai Cinema – le Film Commission regionali (nella maggior parte dei casi sotto forma di sostegni regionali regolamentati da appositi Bandi pubblici, in altri con la modalità di interventi diretti da parte delle FC stesse).
Ad esempio, nel periodo 2010-2015 la DGC ha nanziato 200 documentari (oltre la metà destinati alla sala cinematografica), per un investimento complessivo che supera gli 11 milioni di euro, e che rappresenta il 24% del totale dei progetti sostenuti dal FUS. In secondo luogo, non si può non segnalare il proficuo risultato dell’allargamento dello strumento del Tax Credit verso la produzione audiovisiva, di cui i documentaristi italiani stanno consapevolmente usufruendo sui progetti più ambiziosi.
Infine, terzo elemento di crescente rilievo, l’aumento di accordi bilaterali estesi anche alla produzione audiovisiva sta costituendo un’importante leva di finanziamento esterno per sempre più numerosi progetti di coproduzione internazionale di documentario.
Continua invece a mancare un fondamentale tassello, che al contrario è ben presente a comporre il quadro virtuoso che vige nella maggior parte degli altri paesi europei: il Servizio Pubblico Radiotelevisivo. Contravvenendo alla missione istituzionale ed economica che le è (sarebbe) stata dettata dal Governo e dal Parlamento, la Rai è –allo stato attuale- nulla più che un player alla pari (o poco sopra) degli altri broadcaster operanti nel sistema televisivo nazionale (per dire, come TV 2000, o Sky Arte, o Discovery, o Real Time ecc.): tali si devono intendere le modestissime cifre messe a disposizione per l’intervento su un progetto presentato da un produttore indipendente da parte di Rai Storia o di Rai 5, di fatto i soli canali digitali del Servizio Pubblico in cui si possa individuare una linea editoriale strutturale a favore del documentario nazionale.
In altre parole, la scelta (tante volte annunciata ufficialmente, mai seriamente perseguita) della Rai di non collocarsi come pivot trainante dell’intero comparto audiovisivo nazionale nel settore del documentario (come invece è avvenuto nella fiction) contribuisce a mantenere un quadro di grave debolezza della produzione indipendente nazionale. Di questo stato fanno le spese anche le co-produzioni internazionali: sui progetti di origine italiana, i nostri produttori trovano infatti sempre più difficile ottenere l’intervento di co-produttori esteri (normalmente usi a portare in dotazione nella propria quota le reti televisive del proprio paese o altri broadcaster europei), per l’assenza del (naturale) partner televisivo nazionale (per fare un esempio –questa volta positivo- questo è stato appunto il caso di “Fuocoammare”, in cui il co-produttore francese Les Films d’Ici ha portato in dote l’importante finanziamento di Arte).
Ma quest’inerzia politica e aziendale non vuole a atto dire che il mondo del documentario indipendente italiano sia steso per terra, o moribondo. Anzi, proprio l’attenzione crescente di Doc/it- Associazione Documentaristi Italiani verso le politiche istituzionali, e la volontà di giocare un ruolo nella discussione generale in corso sulle modi che del sistema audiovisivo italiano, fa ben capire il grado di crescente maturità dei documentaristi italiani.
Ad esempio, alcune società di produzione hanno stabilmente imboccata la strada del feature lenght documentary, principalmente destinato alla sala, ma anche ai palinsesti dei nuovi players dell’offerta di online entertainment a livello mondiale.
Rispetto alla situazione di ancora pochissimi anni addietro dell’offerta televisiva italiana, tra le piccole e piccolissime società di produzione indipendenti italiane, la novità più significativa sta forse nella crescita di realizzazioni di factual entertainment destinati ai canali del digitale terrestre, di cui è stato capofila –oltre che divenire un caso nazionale sui social network per le sue valenze di sociologia del costume- la TV serie (nel 2017 alla quinta stagione) “Il boss delle cerimonie” della romana/ napoletana
B & B Film, in onda su Real Time.
E analogamente di docu ction, e di TV-Series espressamente pensate per i mercati ed i broadcaster internazionali (ad esempio, le serie dedicate ai “Food Markets”: 15 episodi creati e realizzati, nel mondo, dalla torinese Stefilm e distribuiti worldwide da Arte Sales).
E così, non è un caso che nelle strategie produttive degli indipendenti italiani si cominciano a delineare progetti mirati a media players sempre più globali, tra cui comincia a ricorrere spesso –e con successo- il nome di Netflix e –in un futuro non più lontanissimo- di Amazon.
DOC/IT, 3 BATTAGLIE PER IL DOCUMENTARIO
1. Doc / it ha ottenuto l’inserimento del documentario italiano all’interno della nuova legge sul cinema e ora … la battaglia continua con i “decreti attuativi”
2. Il 22 marzo al Parlamento italiano (Commissione di Vigilanza RAI) Doc / it è intervenuta in audizione per la concessione dei prossimi 10 anni di Servizio Pubblico alla Rai
3. In collaborazione con ICE Doc / it supporta le delegazioni dei documentaristi italiani in tutti i principali mercati e festival internazionali, e guidando i documentaristi italiani nel mercato cinese realizza un partenariato a lungo termine con GZDoc, il principale Mercato di Documentario in Cina.