SEE ENGLISH VERSION Preceduto dalle frequenti polemiche con cui la stampa quotidiana ne ha accompagnato la preparazione, la settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma – meglio sarebbe dire la prima dell’era Müller – sfila sul red carpet con un cartellone che ha spiazzato chi si aspettava – complice anche una comunicazione altrettanto spiazzante – che il nuovo direttore schierasse una parata di star.
Merita però sottolineare che aver scelto film e autori anche poco conosciuti, e l’aver privilegiato le anteprime mondiali, ha prodotto come effetto un maggior dinamismo nell’area del Mercato – The Business Street – dove i buyers hanno
maggiori occasioni di scoprire i prodotti e acquisirne i diritti.
Credo, infatti, che il Festival di Roma possa giocare le sue carte migliori non sul glamour e lo star system, ma su due fattori tra loro complementari.
Del mercato si è detto, vocazione favorita dall’essere, Roma, la location dell’industria audiovisiva nazionale. C’è poi il pubblico, realtà essenziale per lo sviluppo della dimensione commerciale. Quest’anno per la prima volta una parte degli screening di mercato, in programma al cinema Barberini, è aperta anche al pubblico cittadino.
L’obiettivo, verosimilmente, è permettere a buyers e sellers partecipanti a The Business Street di misurare
l’impatto del film sullo spettatore non festivaliero.
Due plus – naturale vocazione della città al Mercato e integrazione nel tessuto metropolitano- che rendono il Festival del Cinema di Roma sempre più distante dalla Mostra del Cinema di Venezia, votata per storia e geografia a un destino elitario, e sempre più vicino a Toronto, l’evento cinematografico che al mondo è meglio riuscito a creare una continuità
tra Festival, mercato e pubblico.
Si tratta al momento di segnali. Tocca alla nuova gestione tradurli in realtà. Una cosa è certa: con il Festival di Roma e il suo The Business Street, l’industria cinematografica italiana si gioca l’ultima possibilità di avere un mercato internazionale in Italia.