Da quando vi siete ri-costituiti come entità autonoma, avete già preparato un vostro caiher de doléance da presentare al ministero?
Siamo un’associazione di aziende che si è sempre autofi nanziata, diffi cilmente abbiamo chiesto e ancora più diffi cilmente ottenuto. Non cerchiamo una visibilità politica, noi abbiamo problemi di praticità , di lavoro, abbiamo bisogno di spazi sui mercati e di essere riconosciuti.
Avete già preso contatto con il ministero e la direzione generale?
Non abbiamo ancora avuto nessun riscontro da parte della direzione generale del dipartimento dello spettacolo. Sono mesi che stiamo cercando il direttore generale Gaetano Blandini, senza riuscirci. Con l’Ice i rapporti sono ottimi: ci hanno sempre sottoposto le loro iniziative chiedendoci di partecipare. E noi, ogni volta che eravamo interessati, se le manifestazioni erano coerenti con le nostre finalità , abbiamo sempre dato il nostro appoggio.
Il casus belli: i film italiani sempre più spesso vengono rappresentati da società di export non nazionali.
Noi non ci lamentiamo se i film vengono dati a società estere pari a noi: va bene. Non va bene quando vengono abbandonati a se stessi. E questo purtroppo capita spesso: i film restano invenduti sugli scaffali. I produttori si accontentano del minimo garantito che viene dato dalle società di export. Mentre accade che queste, vista la non redditività di una pellicola, la tengano nel cassetto per non perdere ulteriore denaro. Cosa che non succede con una società italiana, che anche solo per una questione di bandiera si impegna molto di più a trovare acquirenti.
Le ragioni di questa preferenza, allora?
Non combattiamo ad armi pari. Il nostro sistema bancario non ci permette di competere con la concorrenza straniera. E’ una questione di mentalità e strumenti finanziari. Noi non possiamo dare il minimo garantito al produttore, se non ricorrendo al nostro patrimonio personale, perché non esiste un sistema di anticipi per il cinema. Basterebbe avere facilitazioni all’ottenimento di finanziamenti sostenuti dal prodotto stesso che si va a finanziare, cioè il film. E invece questo in Italia non esiste, nessuna banca opera in questo senso. Francia, Gran Bretagna, tutti ce l’hanno. E possono ricorrere alle banche. Quelle stesse banche europee che poi, quando operano in Italia, si adeguano subito alla nostra situazione. Altre volte invece si sceglie un esportatore straniero perché questo garantisce almeno l’accesso al suo mercato.
Questa allora sarà una delle prime cose che chiederete? La nuova legge sul cinema potrebbe agevolarvi in questo senso?
Ripeto, non ci siamo ancora incontrati con il rappresentante del ministero. Quando lo incontreremo, avanzeremo le nostre proposte. Però, quella relativa ai finanziamenti non è una carenza legislativa, ma del sistema bancario. Una mentalità da combattere , ma l’esito della battaglia la vedranno forse i nostri nipoti
Significa quindi che non basta una nuova legge, il sostegno del ministero?
No, il problema non è dei ministri, fluttuanti e passeggeri. Il problema è di tutto un settore che è il cinema italiano nel mondo.
Ma allora la promozione del cinema come viene fatta attualmente, con grandi iniziative all’estero organizzate dai vari Ice o Istituti di Cultura all’estero, serve a poco”¦
Si fanno manifestazioni e chi ne sa qualcosa? Escono alcuni articoli sui giornali e poi? Non si va oltre. Noi non ci siamo. Il film una volta visti sono lasciati a se stessi. E’ sempre più raro che dopo un film prosegua sul territorio dove è stata realizzata la manifestazione, e abbia una sua storia distributiva. Si esporta cultura ma non merce. Si promuove, non si vende. Questa è la differenza tra loro e noi. Noi siamo mercanti.
E FilmItalia?
Finora segue il solito schema italiano, per cui ogni volta che cambia dirigenza comincia tutto da capo senza che si faccia tesoro delle cose buone fatte da chi c’era prima. Con tutto il rispetto per le persone e le istituzioni, non si può azzerare tutto a ogni cambio di governo. Per fare un esempio, sempre quello, i francesi hanno finanziamenti che noi neppure ci sogniamo. Hanno strutture operative da decenni. Hanno un Osservatorio per l’audivisivo che funziona dal 1946. E poi, cosa fondamentale, loro “appoggiano” il commercio: quando organizzano qualche manifestazione portano con sé anche i venditori, non solo gli artisti, come invece avviene in Italia. Noi, invece, quante volte abbiamo aperto e chiuso strutture? Ogni volta rispondono a enti diversi, c’è un continuo ricambio di personale, di dirigenze, persino di nomi (Italia Cinema, AIP, Film Italia”¦). E’ chiaro che poi alla fine non marciano. I francesi invece fanno sistema. Senza inventare nulla, basterebbe copiarli. Si farebbe prima e costerebbe meno.
Cinema&Video International 5-2007