
Venezia 76 è attesa al Lido, dal 28 agosto al 7 settembre, in una prova davvero difficile: competere con se stessa, considerato il successo, con scia di Oscar, della trascorsa edizione.
Alberto Barbera non lesina nemmeno quest’anno le etichette, accentuando però, stavolta, il tradizionale understatement.
Archiviate le “tendenze”, il direttore, preferisce parlare di “ricorrenze”.
Anche se di film diretti da donne in concorso ce ne sono solo due
( “The Perfect Candidate” della saudita Haifa Hal-Mansour e“Babyteeth” dell’australiana Shannon Murphy), ricorre “una sensibilità nuova e un’attenzione particolare all’universo muliebre, come raramente era successo in passato”.
Il segno è già nel film d’apertura, “La vérité” di Kore-Eda-Hirokazu, con Catherine Deneuve e Juliette Binoche, e prosegue, sempre in concorso, con “Ema” del cileno Pablo Larrain, nuovamente attratto dall’universo femminile dopo “Jackie”, fuori concorso con “Seberg”, il biopic sull’ icona della nouvelle vague diretto da Benedict Andrews, ma anche con “Unposted”, il documentario di Elisa Amoruso (in Sconfini) sull’influencer Chiara Ferragni.

Quest’anno, inoltre, sono quasi tutte donne le presidenti di giuria: Lucrecia Martel per Venezia 76, Susanna Nicchiarelli per Orizzonti, Laurie Anderson per Venice Virtual Reality, e Costanza Quatriglio per Venezia Classici.
Unica eccezione: Emil Kusturika presidente di Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis.
L’altra ricorrenza segnalata da Barbera è quella di: “film che si dedicano alla ricostruzione minuziosa e documentata di accadimenti della storia recente o passata”.
Nel filone giganteggiano “J’accuse” , kolossal da 26 milioni di euro sul caso Dreyfus diretto da Roman Polanski, salutato da Barbera come “uno degli ultimi maestri del cinema europeo”, e “Wasp Network”, interpretato da Penelope Cruz e Gael Garcia Bernal, dove Olivier Assayas ricostruisce vicende di agenti castristi infiltrati tra gli oppositori del regime cubano negli anni ‘90.
Torna, nell’articolazione proposta da Barbera, “il cinema della realtà che anziché essere tentato da fughe in universi paralleli o puramente immaginari, sceglie di confrontarsi con i problemi dell’oggi, senza necessariamente cadere nelle trappole della pura e semplice evocazione cronachistica”.
“The Laundromat” di Steven Soderbergh è un tuffo nel dominio della finanzia globale, con la ricostruzione dei “Panama Papers” attraverso le interpretazioni di Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Sharon Stone, mentre “Adults in the Room” di Costa-Gavras è tratto dall’omonimo libro di Yanis Varoufakis sul “salvataggio” greco del 2015.
Venezia 76 sarà questo e molti altri film (63 lungometraggi, di cui 21 in concorso, 17 fuori concorso, 19 in “Orizzonti” 4 in “Sconfini”, 3 in Biennale college) che potrebbero deciderne il successo. Anche qui Barbera sceglie un profilo basso, e disinnesca la tradizionale rivalità con Cannes perchè “sono i film che scelgono i festival e non viceversa”.

Forse anche quest’anno il Lido sarà l’anticamera degli Oscar, sicuramente sarà una parata di star e di autori (sono 8 i registi premi Oscar) dove l’impronta hollywoodiana rimane visibile.
Anche quest’anno gli amici americani approdano volentieri al Lido, e le major accettano i rischi del concorso: Warner Bros con “The Joker” , il nemico giurato di Batman, diretto da Todd Philips e interpretato da Joaquin Phoenix (nel cast anche Robert De Niro); 20th Century Fox con “Ad Astra”, di James Gray, con l’astronauta Brad Pitt in missione ai confini dell’universo (nel cast anche Tommy Lee Jones e Donald Sutherland).
Tuttavia la corsia privilegiata costruita con le majors non impedisce a Barbera di accogliere film non destinati prioritariamente al grande schermo: sono targati Netflix il citato “The Laundromat”, “Marriage Story”, storia di un menage matrimoniale da incubo diretto da Noah Baumbach e intrepretato da Scarlett Johannson, e, fuori concorso, “The King” di David Michôd. Un film Amazon: “Seberg”.
Quest’ultima, assieme Johnny Depp, è anche in “Waiting for the Barbarians” del colombiano Ciro Guerra: racconto allegorico che evoca il “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati.
Altro film “evocativo”, è “ A Herdade”, una sorta di “Novecento” porto- ghese diretto da Tiago Guedes.
Da segnalare poi, tra le grandi firme internazionali, Atom Egoyan che torna a Venezia in concorso (nel 2015 con “Remember”) con “Guest of Honor”: “cronologia emotiva” di una complessa relazione padre-figlia. E gli italiani?
Qui Barbera ha privilegiato la ricerca e la sperimentazione, affidando al fuori concorso la testimonianza di un cinema italiano di qualità fatto per il grande pubblico, con i nuovi film di Gabriele Salvatores, “Tutto il mio folle amore”, e Francesca Archibugi, “Vivere”.
Il concorso, infatti, apre le porte a Pietro Marcello, autore molto amato dai cinefili, che si misura con il capolavoro di Jack London, “Martin Eden” (protagonista Luca Marinelli) reiventando il libro e ambientandolo in Italia.
Operazione coraggiosa è quella di Mario Martone, per il secondo anno consecutivo in concorso, che con “Il sindaco del rione sanità” rielabora l’omonimo testo teatrale di Edoardo De Filippo.
Una scelta coraggiosa è stata senz’altro l’aver arruolato nei concorrenti al Leone d’Oro “La mafia non è più quella di una volta”, che segna il ritorno al Lido (nel 2014 fu premiato in Orizzonti con “Belluscone”), del geniale Franco Maresco, mai riconciliato con la sua Sicilia.
Gli italiani sono inoltre protagonisti di “quella parte di cinema chiamata serie tv”: proiezioni speciali per “The New Pope” ( episodi 2 e 7) di Paolo Sorrentino, e “Zerozerozero” (episodi 1 e 2) di Stefano Sollima.
Chiusura fuori concorso per un altro italiano, Giuseppe Capotondi (“La doppia ora”) con il thriller “The Burnt Orange Heresy” ambientato sul lago di Como e interpretato da Donald Sutherland e Mick Jagger.
Quest’ultimo, se accompagnasse il film, esalterebbe il côté rock di Venezia 76 , che vedrà sfilare in passerella , fuori concorso, Roger Waters, mitico leader dei Pink Floyd, con il suo film concerto “US + Them”.