di Adriana Marmiroli
C’era una volta il Mifed, storico mercato milanese del cinema, prototipo e precursore del settore.
Sempre rimpianto ma ormai inesorabilmente defunto.
Un’epoca è finita con la sua chiusura.
Detto questo e archiviato l’argomento, resta il fatto che da allora lo spazio autunnale è diventato terra di nessuno, aperta ad altri possibili concorrenti, in quanto l’American Film Market di Santa Monica (5-12 novembre), che avrebbe dovuto soppiantarlo, non è in grado di soddisfare le esigenze di tutti, troppo programmaticamente orientata verso l’industria cinematografica statunitense e i suoi prodotti.
Esistono come conseguenza di questo altre realtà che non si sentono rappresentate e che sono alla ricerca di situazioni in cui potersi esibire: europei, asiatici, la stessa America latina.
Nel breve arco di tempo che va dalla fine dell’estate a metà autunno, esistono alcune manifestazioni che si contendono questo ruolo; festival che ambiscono, aspirano o si trovano per naturale evoluzione dei fatti a occupare (finora parzialmente) il ruolo che fu del Mifed: in ordine di tempo, Venezia, Montréal, Toronto, Roma.
Della Mostra del Cinema si sa: da anni spinge perché cresca l’ Industry Office che affianca il festival (qualcuno ricorda quando si pensò all’impossibile gemellaggio Milano-Venezia?).
Distributori e compratori, soprattutto gli europei, anche a causa della tipologia dei film presenti, vengono “” tutto sommato “” abbastanza volentieri al Lido, ma tutti conoscono i limiti del luogo: strutture inesistenti o quasi, scarsa e costosissima ricettività , ristrettezza del parco titoli (quelli in passerella nelle sezioni varie ed eventuali del festival, circa duecento titoli a dire tanto).
«Finché non ci sarà un nuovo Palazzo del Cinema non si potrà mai parlare per Venezia di un vero mercato “” sostiene Sesto Cifola “”. Come Rai Trade continuiamo ad andare, a fare proiezioni per i nostri clienti nelle salette esistenti.
Finora è mancata la volontà politica di creare uno spazio strutturato”¦Â».
Poi c’è il Montreal World Film Festival (23 agosto-3 settembre): parzialmente si sovrappone a Venezia e per qualche anno ha goduto di ottima stampa, ma ha passato momenti di profonda crisi, da cui forse si è risollevato.
Ma ha l’handicap gravissimo non essere di lingua inglese.
Montréal, capitale del Quebec francofono, malgrado la vicinanza agli Usa, ma forse proprio per questo fatto, finisce con l’essere un festival locale; il mercato collegato lo è di conseguenza ed è quindi di scarso interesse al di fuori di quest’area linguistica.
Il Toronto International Film Festival (4-13 settembre), noto come Festival dei Festival, nasce come manifestazione rivolta al pubblico, non competitivo, ma passerella del cinema di qualità selezionato con attenzione in tutto il mondo da un’agile struttura di professionisti.
E’ cresciuto esponenzialmente con il tempo, come qualità , numero delle pellicole proposte (circa 400), riscontro sui media.
Gli americani ci vanno volentieri, il cinema d’autore di tutto il mondo vi è rappresentato in modo completo (asiatici e latino americani in prima fila), cinematografie emergenti e nomi consolidati.
Accanto ai film già passati negli altri festival, cresce il numero di quelli presentati in anteprima mondiale. Quest’anno è stata clamorosa la decisione di Spike Lee di preferirlo a Venezia per il debutto di “Miracolo di Sant’Anna”.
L’anno scorso vi iniziò il suo percorso “Giorni e nuvole” di Silvio Soldini. “E’ un ottimo mercato, Toronto “” conferma Lionello Cerri, produttore del film di Soldini.
Rispetto a Venezia, con cui condivide l’assenza di una vera organizzazione di mercato, è ottimo per prendere contatti con i buyers americani».
Il mercato, infatti, a Toronto ufficialmente non esiste, ma si è creato spontaneamente.
Ora è diventato un appuntamento imperdibile per distributori, esportatori e compratori, che vanno lì sicuri di poter visionare e trattare prodotti di qualità , “garantiti” proprio dal buon lavoro dei suoi selezionatori.
Le sue date sono nel calendario anche degli esportatori italiani.
«Ne sono un frequentatore assiduo “” dice Sesto Cifola -. Pur senza un cartellino che ne sanzioni l’esistenza, il suo è un mercato di rilevanza mondiale.
Ci sono tanti film, ci sono coloro che li rappresentano: viene da sé che ci siano i compratori e quindi si crei il business.
La differenza è che i clienti li incontri al bar.
E’ tutto molto informale, ma funziona».
Paola Malanga, responsabile acquisizioni di Rai Cinema, parla di Toronto come di un appuntamento «strategico per il mercato nord-americano», dove fare incontri in una situazione «distesa, fluida», finalmente con il tempo di vedere dei film, «dei buoni film».
«Speriamo solo che non diventi l’ennesimo, solito mercato».
Adriana Chiesa, che pure ne loda l’organizzazione, le sale, il pubblico, lamenta il suo essere «a senso unico: se il tuo film non è stato invitato, non hai ragione d’andare. Quindi, funziona meglio per chi compra che per chi vende».
Però conferma che, con un Afm sempre più orientato alle produzioni per l’homevideo e sempre più americanocentrico, per un film d’autore, italiano o anche europeo, Toronto è la migliore finestra sugli Usa. Presto “” dopo essere stato per decenni “evento diffuso” nella città “” a Toronto sarà pronto un Palazzo del Cinema per ospitare il festival: una mossa che prelude a un cambiamento anche nell’organizzazione del mercato?
Questo significa che Roma ( 22-31 ottobre) non deve perdere tempo, se non vuole perdere la posizione cui mira: durante le prime due edizioni si è fatto molto per attirare distributori e buyer internazionali.
Agli esportatori di casa nostra è stato chiesto di invitare i loro migliori clienti.
Per numero di presenze, contatti e affari conclusi la Business Street è stata considerato un successo.
«Tra i mercati di questo periodo dell’anno collegati a un festival, è l’unico a cui si possono portare film extra festival “” ricorda Cifola -.
Per ora gli alberghi di via Veneto e le tante sale della zona vanno bene. Roma ha un fascino unico: non è difficile convincere gli stranieri a venire.
Ma l’ottimale sarebbe che il mercato si dotasse di spazi strutturati da affittare alle diverse società per i loro uffici».
A patto che non si ripeta il “disorientamento” politico dei mesi scorsi, che ha fatto perdere tempo e dato all’esterno l’impressione che potesse non esserci un’altra Festa e un’altra Business Street.
«Molti hanno preso altri impegni per quelle date. E il mercato potrebbe risentirne quest’anno con una battuta d’arresto», conferma una Adriana Chiesa molto dispiaciuta.
«In sole due edizioni Roma aveva creato mercato e aspettative: che potesse rimpiazzare il Mifed e riempirne il vuoto che non riesce a colmare l’Afm».