In un momento in cui l’Europa scricchiola sotto i colpi dei Paesi che ne fanno parte, abbiamo scelto, in questo fascicolo che esce in occasione della 66° Berlinale, di marcare la nostra identità europea.
E’ un’identità che prende corpo nel racconto dei progetti di film e delle collaborazioni che li producono.
Per questa ragione raccontiamo, negli articoli che seguono, la quotidianità del lavoro di quei professionisti italiani che cercano e realizzano co-produzioni o ne creano le condizioni con regole e iniziative adeguate.
L’identità europea degli italiani si ritrova nel film in concorso a Berlino, “Fuocoammare”, e nel progetto selezionato al Co-production Market, “L’ospite”; si legge nei Fondi di co-sviluppo creati dal MiBACT e nella rete di relazioni e progetti costruita da When East Meets West che ha da poco concluso a Trieste la sua sesta edizione.
Europee sono le Film Commission, per loro natura orientate oltre i confini nazionali, che non si limitano a offrire locations ma partecipano sempre più attivamente (è il caso della Film Commission dell’Alto Adige) alla formazione dei professionisti e alle fasi produttive.
Se, infine, in questo fascicolo non affrontiamo il fenomeno Zalone (il cui ultimo film “Quo vado” è stato in Italia il maggior incasso di tutti i tempi), ma proponiamo il caso de “Il capitale umano” di Paolo Virzì, che nel 2014 occupò solo l’ottavo posto nel box office italiano, è perché il film di Virzì è stato distribuito in tutto il mondo: 36 Paesi, per la maggior parte europei.
Analizzare il fenomeno “Virzì” può dare indicazioni sul futuro, in un momento in cui il successo di Zalone espone oggettivamente al rischio di scivolare su tentazioni autarchiche e rinviare i problemi di un cinema italiano provinciale e chiuso in se stesso, problemi più volte sottolineati da autorevoli analisti ed esponenti istituzionali.
Aggiungo, ed è una mia opinione, che anche il cinema italiano dovrebbe affrancarsi dal mito del Made in Italy, e impegnarsi per un più attuale e fruttuoso Made with Italy.