Il Branded Content, ad oggi, in Italia, non ha ancora assunto le forme di una vera e propria coproduzione, in cui un brand e un media partner (tipicamente un canale tv, più raramente una testata web) concordano di condividere non solo un progetto ma anche l’investimento di un nuovo contenuto editoriale che soddisfi gli obiettivi di entrambi.
Più spesso, finora, il brand ha dovuto sobbarcarsi interamente l’onere di una produzione fully funded, limitandosi ad individuare un canale più o meno coerente per target e posizionamento, a condividere con quello un trattamento, ed è spesso costretto anche ad un investimento aggiuntivo tabellare (ad es. in promo sponsorizzati) corrisposto alla concessionaria, altrimenti refrattaria ad una pura fornitura di contenuto gratuito all’editore, non generante ricavi.
In Italia quindi non sono finora nate iniziative tipo quella di Iconoclasts, in cui Sundance Channel e Greey Goose Entertainment, la tv di Robert Redford e un produttore di grappa, si alleano per finanziare la realizzazione di ben sei serie (dando spazio al confronto tra la creatività di personaggi quali Tom Ford e Jeff Koons, James Franco e Marina Abramovic, Seth Mc Farlane e Norah Jones…).
Nè tantomeno sono nate società spin-off dedicate alla produzione e alla distribuzione di contenuti, come L Studio di Toyota Lexus in America, o Red Bull Media House in Austria (che è passata dal regalare alle tv i filmati degli sport estremi sponsorizzati, a diventare una factory di contenuti multimediali pregiati venduti in tutto il mondo).
L’augurio è quindi quello che in un futuro non troppo lontano si possano creare le premesse per vere e proprie coproduzioni di contenuti di qualità: contenuti talmente rilevanti che l’utente/consumatore li gradisca, li ricerchi spontaneamente, e che talvolta sia addirittura disposto a pagare, riconoscendone l’autorevolezza, come nel caso della mitica guida Michelin, benchmark e antesignano di tutti i branded content.
Un altro auspicio è che le aziende investano sempre di più nella creazione di contenuti innovativi (invece che in strumenti 1.0 quali le vecchie telepromozioni o televendite), e sempre correttamente riconoscibili ed esplicitati (invece dei vecchi e ambigui publiredazionali).
Certo non tutte le aziende e i prodotti hanno valori da rappresentare o storie da raccontare: ma quelle che li hanno, non sempre decidono di scegliere lo strumento principe dello storytelling aziendale, quale puo’ essere considerato il Branded Content, perdendo occasioni interessanti.
Non sarebbe bello ad esempio vedere in tv una serie su innovatori che hanno solo apparentemente fallito (da Colombo che cercava le Indie a Steve Jobs cacciato da Apple) prodotta dalla Diesel di “Be stupid”?.
O una divertente e interessante webseries Ikea sulle nuove famiglie, tradizionali e non?
Oppure un docudrama Apple sullo scienziato Alan Turing, che si suicidò mangiando una mela avvelenata, divenuta simbolo di indipendenza e autonomia di pensiero tanto da essere scelta per diventare uno dei più famosi loghi aziendali?
Alessandra Alessandri è titolare di Labmedia