Si è spesso argomentato su questo giornale dell’importanza del tax credit, che ha dimostrato non solo di essere un formidabile volano per lo sviluppo del settore ma anche di generare introiti per le casse dello stato (una ricerca ANICA/LUISS ha rivelato che per ogni euro di agevolazione fiscale si genera per lo stato italiano un gettito fiscale di 1,5 euro).
Nella presentazione, lo scorso aprile a Roma, dei dati sul cinema italiano nel 2012 da parte di MiBAC e ANICA, emerse che grazie al tax credit è raddoppiato, rispet- to all’anno precedente, l’apporto di capitale da parte degli investitori esterni al settore.
Dei 337 milioni investiti lo scorso anno nella produzione di film di nazionalità italiana, l’apporto degli investitori esterni per il quale è stato richiesto il tax credit è balzato dai 25,05 milioni di euro del 2011 ai 50,77 del 2012: più che raddoppiato. E sui 129 film al 100% italiani sono 79 quelli per i quali è stato richiesto il tax credit (61%), mentre, altro fatto importante, grazie al tax credit negli ultimi 4 anni le produzioni straniere hanno investito in Italia 84 milioni di euro.
Il buon senso avrebbe voluto, per tutte queste buone ragioni, che tale incentivo fiscale, che è non soltanto per la produzione, ma anche per la distribuzione e l’esercizio cinematografico, fosse stato reso stabile.
E invece ci si trova a scrivere di un taglio del 50% sullo stanziamento per il tax credit, e di un rinnovo del dispositivo per un anno soltanto: è quanto disposto nel decreto legge varato a fine giugno dal governo in carica, e mirato, paradossalmente, al rilancio dello sviluppo e del lavoro.
Di fronte all’ ennesimo schiaffo all’industria del cinema, le associazioni di categoria hanno reso noto che “tutta l’industria culturale reagirà con tutte le sue forze e con tutti i mezzi, incluso il blocco di tutte le manifestazioni e i festival”.
Staremo a vedere cosa accadrà. Ma quali che siano gli sviluppi, va registrata ancora una volta la scarsa considerazione in cui è tenuto il settore.
Più stimolante è affrontare il rapporto del cinema italiano con il suo pubblico, la cui progressiva disaffezione è stata frenata dalla Festa del Cinema nello scorso maggio.
Gli effetti sembra siano stati quelli desiderati, dato che il segno si mantiene positivo anche dopo la settimana di promozione: dalle elaborazioni Cinetel risulta infatti che nel periodo 1-23 giugno (la Festa è stata dal 9 al 23 maggio) le presenze sono aumentate del 99,61% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Il saldo diventa positivo anche per questa prima parte dell’anno (1° gennaio – 23 giugno): si sono venduti 47,827 milioni di biglietti, +4,31% rispetto allo stesso periodo 2012 .
Ma la strada è sempre in salita; il confronto per biglietti venduti con l’omologo periodo del 2011 è -12,58%, quello con il 2010 è -17,21%.
In questo fascicolo, che coglie l’occasione della terza edizione di Cinè per approfondire il rapporto tra cinema e pubblico, si dà conto della trasformazione in atto delle sale cinematografiche – il processo di digitalizzazione, gli esperimenti di multiprogrammazione – ma anche dell’affanno in cui è la distribuzione del cinema di qualità in Italia.
Nei servizi che seguono risulta che un certo cinema, quello che in sala non arriva o scompare troppo presto, un suo pubblico ce l’ha, anche se i numeri sono piccoli. Va cercato, e gli strumenti non sono più gli stessi.
Finora si è considerata la questione delle sale di città una sorta di “linea del Piave”.
Ma la sala non può più essere l’unica e decisiva chiave d’accesso alla individuazione dei gusti del pubblico, non foss’altro perché circa un quinto degli schermi esistenti in Italia (che rappresentano però il 9% in termini di presenze) non sono monitorate da Cinetel.
Forse è il caso di spostare con più decisione l’attenzione sullo spettatore: conoscerlo meglio per poter riorganizzare coerentemente un’offerta ricca e differenziata – dal blockbuster all’arthouse film – in spazi adeguati.