Il nuovo oggi richiede un’unione internazionale fra gli autori, che difenda i loro diritti e la loro dignità professionale dall’egemonia delle delle piattaforme: è questa la proposta condivisa che emerge dall’omonimo convegno che ANAC ha organizzato assieme a Roma Lazio Film Commission e Torino Piemonte Film Commission all’interno degli Industry Days del Torino Film Industry, coinvolgendo anche il mondo degli autori dell’America Latina che si sono collegati da Ventana Sur, il mercato dell’audiovisivo che si svolge in questi giorni a Buenos Aires.
Interlocutori sempre più importanti per l’Italia, soprattutto da quando, sono aumentate drasticamente le coproduzioni con i loro territori: “del 40%, dopo che è entrato in vigore il bando Lazio Cinema International, che destina alle coproduzioni internazionali dieci milioni di euro l’anno” ha ricordato in apertura Luciano Sovena, presidente di Roma Lazio Film Commission, e ha poi concluso, a fine dell’incontro, sposando l’appello di Beppe Gaudino affinché tutte le associazioni si uniscano, costruendo un dialogo fra professionisti, istituzioni e sindacati, per internazionalizzare la questione dei diritti degli autori.
E’ di Martin Salinas sceneggiatore, e parte del sindacato argentino degli autori, la proposta di elaborare un documento con pochi punti fondamentali e imprescindibili, condiviso da autori italiani, europei e latino-americani.
Un altro invito agli autori ad avvicinarsi alle associazioni, abolendo le frontierearriva anche dallo sceneggiatore argentino Santiago Fernandez Calvete.
La questione dei diritti è uno dei due problemi fondamentali del nuovo panorama audiovisivo. L’altro, come sottolinea Nicola Guaglianone, è quello dell’imperialismo culturale, cioè “del rischio che queste grosse società diventino Mac Donalds dell’intrattenimento, mentre dovremmo restare circoscritti e raccontare i nostri mondi. Chi sta scrivendo oggi la nostra storia?” si chiede lo sceneggiatore di Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, ammettendo, però, che “la Serie di Zero Calcare mi ha rincuorato, è ben radicata sul territorio benché racconti temi universali”.
L’identità culturale è un presidio da difendere, “riconoscendo il buono che le piattaforme hanno portato, nel modificare in meglio la sintassi narrativa con cui si scrivono le serie, -continua Guaglianone, – Con il fenomeno del binge-watching, non c’è più bisogno, ad esempio, di tenere costantemente viva la memoria degli spettatori con linee orizzontali che possono permettersi adesso anche di ‘scomparire per qualche puntata’.”
Ma la battaglia sui contenuti è indiscutibilmente legata alla questione dei diritti, come evidenzia efficacemente Stefano Reali: “Chiedere che gli autori abbiano una retribuzione congrua rispetto al reddito che contribuiscono a creare, significa anche metterli nelle condizioni di concentrarsi e tirare fuori quelle originalità narrative che sfidano il pensiero unico e sono state l’unico motivo per cui lo spettacolo ha reso ricco chi lo faceva: il cinema e la tv sono diventati grandi quando sono andati controcorrente, cosa non semplice in questa specie di edicola sterminata di offerte di cui siamo circondati.”
Lotte ancora più drammaticamente sentite in America Latina: dall’Argentina, al Messico, al Brasile, dove in pochi anni le produzioni delle telenovelas indipendenti si sono spostate verso la massiccia produzione seriale delle piattaforme “che contrattano autori giovanissimi senza alcuna esperienza di trattativa negoziale, e che accettano contratti che non rispettano la loro dignità” dice Roberta Miller sceneggiatrice e direttrice di Gedar Brasil, l’ente di gestione dei diritti degli sceneggiatori brasiliani, o in Cile, dove “non abbiamo mai sottoscritto un contratto di lavoro, siamo tutti freelance, e il buy out è assoluto, nessuno può ‘pitchare’ una serie se non la vende completamente, aggiunge Luz Croxatto sceneggiatrice e attrice cilena.
Quello del buy out, cioè della cessione in toto dei diritti alla piattaforma, è un problema trasversale. L’unico spiraglio di luce, per ora, arriva dalla Francia, dove grazie alla trattativa fra autori francesi e piattaforme, sono stati inseriti due nuovi articoli che limitano, sia la clausula del buy out, appunto, sia l’accesso ai fondi del CNC da parte delle piattaforme e dei produttori che ci lavorano.
E per evitare che lo strapotere delle nuove tecnologie si arricchisca oltre misura, approfittandosi del periodo di deregulation generato dalla rivoluzione che esse stesse hanno portato, sarebbe necessario “che ogni paese recepisse, senza stravolgerla, la nuova direttiva sul diritto d’autore approvata dal Parlamento Europeo, dove il principio dell’equo compenso dà delle opportunità in più”, sostiene il presidente dell’Anac Francesco Ranieri Martinotti, che ha moderato l’incontro nel giorno, fra l’altro, in cui al Torino Film Festival viene presentato, fuori concorso, il suo documentario sulla vicenda politica dell’Anac, L’onda lunga – Storia extra-ordinaria di un’associazione.
Infine, Emanuela Piovano vicepresidente Anac, invita a riflettere su quanto la questione della vulnerabilità dei diritti sia legata anche alla dinamica autore-produttore, in parte responsabile, secondo lei, della produzione dell’algoritmo: “uno dei principi che mi ha ispirato nell’accettare il mio incarico nell’Anac è quello secondo cui gli autori dovrebbero diventare produttori di loro stessi, creare la propria bottega, come gli artigiani, o come i contadini prima che iniziassero le coltivazioni intensive. Penso a autori come Calopresti, Gaudino, Almodovar, Naomi Kawase, Laurent Cantet: creatori di prototipi non serializzabili per definizione. Io penso che i fondi pubblici andrebbero assegnati agli autori, che poi possono designare un capomastro per realizzare le loro opere.”
Un concetto in fondo, non così distante da quello del produttore creativo, o showrunner, anche se questa in realtà è una figura che appartiene al mondo della serialità, soprattutto nord-americana, come ricorda Nicola Guaglianone, lamentando il fatto che in Italia ancora non sia riuscita a trovare il giusto spazio.
Guaglianone ha chiuso l’incontro con la considerazione che “prima essere sceneggiatori equivaleva a fare il recupero crediti, adesso a essere sindacalisti. Quello che vogliamo è creare immaginari, storie, conflitti e che ci vengano riconosciuti i diritti che ci spettano perché senza sceneggiatura tutto questo mondo non esisterebbe.”