Mantenere l’indipendenza legata alla propria identità e la capacità di rischiare, mettendo al centro la ricerca dei nuovi talenti e nuovi autori e lavorare duro, perché “Non siamo più intelligenti degli altri, ma lavorando il doppio cerchiamo di arrivare primi”.
Nella masterclass di cui è stato protagonista oggi a Torino Film Industry, Carlo Degli Esposti ha conversato con Steve Della Casa della sua carriera, dagli esordi alle più grandi soddisfazioni e ai nuovi progetti della Palomar, la società di produzione che amministra, e che recentemente si è dotata anche di una divisione dedicata ai documentari e all’animazione, “che per ora rappresentano il 10% del fatturato, accanto al 70% della tv e il 20% del cinema”
“La cosa di cui vado più orgoglioso è aver fatto debuttare tanti autori: Salvatores e D’Alatri (quando ancora ero socio in Videa) Kim Rossi Stuart, Roan Johnson…”
Legato a Johnson, un episodio che ha raccontato per esprimere la sua visione sui festival come strumento di promozione per film e autori: “ancora mi dispiaccio quando penso che Piuma, il suo secondo lavoro, una commedia leggera e intelligente, fu stroncata a Venezia, dove tutti i selezionatori avevano insistito per averla in concorso. Purtroppo a volte la sorte di un film in un festival è legata a questo gioco di osannare o tirare pietre, che risponde ad altre logiche che travalicano il valore intrinseco del film. Parimenti, i festival possono rappresentare la fortuna di altri film, come è accaduto con Noi Credevamo di Martone a Venezia o con La Paranza dei bambini di Giovannesi a Berlino”
Le coproduzioni internazionali e l’Italia nel mondo: “Ora è cambiato sguardo del mondo verso Italia, siamo ritornati ad essere un punto di riferimento. Personalmente ci aiuta la solidità produttiva e la capacità di portare nel contesto produttivo internazionale l’italianità che ci contraddistingue: spesso ho scontri con produttori stranieri su dove mettere la ricchezza, e ultimamente devo dire che il rispetto per gli attori e le attrici italiane è cambiato, c’è una grande curiosità che è necessario però continuare ad alimentare.”
Sull’invasione delle piattaforme e le produzioni locali che commissionano ha le idee ben chiare: la linea editoriale di Palomar è “fare quello che ci piace e andare a cercare chi vuol farlo insieme a noi, anche perché è molto più semplice che seguire gli algoritmi degli OTT che cambiano molto più velocemente di noi! Penso che sia doveroso mantenere la propria identità e abituare i committenti a non avere esecutori ma soggetti pensanti.”
L’autonomia come principio guida della società anche per quanto riguarda le produzioni televisive, per “cercare di avere più forza contrattuale possibile”, dice, evidenziando come la questione dei diritti sia penalizzante in Italia: “Se avessi fatto Montalbano in Francia, dopo 3-6 anni sarei tornato in possesso dei diritti dell’opera, quindi avrei potuto reinvestire molto. Avendola invece ceduta in perpetuo alla Rai, gli ho fatto fare un guadagno enorme, con 35 film in onda e 280 prime serate tutte vinte.”
Maggior controllo sui diritti e maggiore propensione al rischio, ci vorrebbero secondo Degli Esposti: “nel grande cinema italiano del dopoguerra i produttori spesso erano distributori di loro stessi e costruivano film con le cambiali degli esercenti: sarebbe utile raccontare la storia del cinema italiano fra gli anni 50 e 70, e tornare a quella mentalità, concentrata fin dal primo momento sul successo del prodotto, sullo scoprire i nuovi talenti che possano esserne il motore!”
E infatti, mentre Il Giovane Montalbano continua a mietere successi strepitosi in tutto il mondo anglosassone (“Molto di più di quello classico”), “stiamo montando una serie western molto particolare (That Dirty Black Bag), che abbiamo prodotto con i BRON Studios: sarà la prima serie italiana venduta ad AMC e ce l’ha proposta un giovane autore sardo (Mauro Aragoni, n.d.r.)”
Infine, le due nuove nate in casa Palomar: la divisione documentari, guidata da Andrea Romeo, con cui “stiamo progettando molti prodotti documentari seriali che oggi vanno molto forte, e stringendo accordi con parecchie emittenti in giro per il mondo.” Anche qui, il criterio di scelta, è che “devono piacere a tutti noi, e non è cosa semplice: c’è piaciuta ad esempio, l’idea di ricostruire la storia della canzone di Bella ciao, o di raccontare Paolo Rossi, per rivivere momento in cui l’Italia era al centro del mondo.”
Molte soddisfazioni arrivano poi dalla factory di cartoni a Reggio Emilia, “una start up di animazione che ha prodotto un cartone su Pinocchio, ora in onda su Rai Yoyo, e che sta lavorando ad altri progetti con Francia e Germania”