Così la ventiseienne regista Beatrice Segolini commenta l’audace impresa realizzata assieme a Maximilian Schlehuber in “The good intentions”, proiettato al 31° Bolzano Film Festival Bozen.
Il film, che ha ottenuto una menzione speciale nella sezione documentari, è il saggio di diploma triennale conseguito nello scorso anno alla ZeLIG
E’ la prima volta che un film della gloriosa scuola bolzanina partecipa al concorso del Festival, riaffermando il forte legame della manifestazione con il tessuto culturale e produttivo locale (anche se gli autori non sono altoatesini:lei è bresciana, lui di Amburgo).
Più che il tema affrontato – la violenza tra le mura domestiche – in “The good intentions” colpisce il modo in cui è stato affrontato.
Assieme al collega Max alla camera, Beatrice è entrata nella quotidianità dei suoi familiari, madre e due fratelli, con una domanda: perché non ne abbiamo mai parlato?
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“Non è un film mosaico, c’è un percorso, un viaggio della figlia verso il padre”, racconta Beatrice, “in questo senso è un film d’azione”.
Certamente “The good intentions” può essere utile alle tante persone che su fatti che hanno segnato la loro esistenza non trovano risposte o non fanno nemmeno domande.
Da sottolineare, infine, l’imprinting della ZeLIG: “ frequentando la scuola mi sono reso conto che mi affascinano le storie personali, storie piccole che possono rappresentare un universo grande”, dice Maximilian Schlehuber .
“ Alla ZeLIG ci hanno sempre spinto a fare film che fossero magari stilisticamente “sporchi”, ma che avessero un’anima”, gli fa eco Beatrice Segolini.