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direttore Paolo Di Maira

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IL CONVEGNO/Idee per superare la Crisi

“Non credo assolutamente che si possa parlare di crisi per la fiction, perché non mancano né le idee né gli ascolti.”
Così il direttore di Rai Fiction, Fabrizio Del Noce, interviene alla fine del convegno “La Crisi del Mercato, idee per superarla”, organizzato dall’APT lo scorso 8 luglio, in occasione del Roma Fiction Fest.
“C’è un ottimismo di prospettiva, anche se non nascondo le difficoltà  dell’attuale periodo, che deve confrontarsi con alcune possibilità  di finanziamento per mantenere invariato il bacino di produzione.
Vedremo quale sarà  la risposta del mercato sul product placement. Sicuramente siamo intenzionati a proseguire la strada delle coproduzioni internazionali, soprattutto per quanto riguarda le miniserie, e adesso stiamo iniziando a investire in questo senso anche per quanto riguardo i prodotti seriali veri e propri.
Questo chiaramente garantisce margini superiori, anche da un punto di vista ideativo narrativo.”


I livelli della crisi : Fabiani, Mori, Scardamaglia, Traube
Il suo intervento è un colpo di spugna su quanto era stato detto precedentemente, in sua assenza.


Fabiano Fabiani, presidente dell’APT, aveva aperto i lavori con un’analisi, supportata dalle cifre, secondo la quale la crisi investe tre livelli.
La ribadisce, sottolineando di aver scelto lui il termine “crisi” per titolare il convegno. Argomenta Fabiani:
“Intanto c’è una crisi di budget che, in Rai è sceso del 33% negli ultimi due anni e in Mediaset è passato dai 250 milioni di euro del 2008 ai 145 del 2009, con la prospettiva di un ulteriore taglio del 20%.
Poi c’è una crisi di rapporti strutturali fra i produttori e le emittenti, che prescindono dagli aspetti editoriali e, infine una crisi normativa o di normativa inesistente.”


Quest’ultimo punto riguarda anche il product placement, su cui insistono sia Claudia Mori (Ciao Ragazzi) che Federico Scardamaglia (Leone Cinematografica).
Quest’ultimo in particolare denuncia l’esistenza di una lettera che la Rai ha mandato ai produttori, riguardante “i contratti che ancora devono essere firmati, che nega al produttore la possibilità  di cercarsi l’azienda con cui concordare un’operazione di Product Placement.
Cosa che invece è consentita al produttore cinematografico”.
Lettera che Fabiani definisce “un segno di prepotenza giuridica della Rai nei confronti dei suoi più importanti fornitori.”


La Mori si esprime anche sul secondo livello di crisi esposto da Fabiani: “C’è una totale mancanza di complicità  fra produttori ed emittenti, i rapporti sono squilibrati a nostro svantaggio, quando invece siamo noi che alla fine ci assumiamo la maggior parte dei rischi.”


Ma i problemi non sono solo in Italia.
Racconta Nicolas Traube, produttore francese di Pampa
“Anche da noi ci sono problemi nei rapporti con le emittenti.
Nelle reti francesi private, per esempio, è quasi impossibile per un produttore proporre qualcosa, sia dal punto di vista delle idee che del cast”¦ tanta è l’invasività  delle emittenti.”


La delocalizzazione: Carlo Degli Esposti propone un patto di solidarietà 
Una delle questioni più calde è quella della delocalizzazione.
Dice Carlo Degli Esposti (Palomar):
“Gli addetti ai lavori di questo settore sono molto poco garantiti, o hanno garanzie che variano molto da specializzazione a specializzazione.
Da 3 anni stiamo cercando di fare con i sindacati un nuovo contratto di lavoro, proprio per scongiurare la delocalizzazione del prodotto, che nell’ultimo anno ha dimezzato l’occupazione in Italia.
E’ un problema serio che va affrontato, di cui le emittenti non si occupano e il cui costo andrà  a ricadere sulle aziende che non possono capitalizzare, perché i diritti vanno in mano alle emittenti.
Come APT abbiamo intenzione, insieme ad ANICA, di proporre una discussione per arrivare a un contratto di solidarietà , di 12-24 mesi, che tenga conto dell’abbassamento dei budget.
E’ necessario adeguare il budget del prodotto a quello che il prodotto stesso genererà  come introiti pubblicitari.
E’ meglio lavorare tutti con meno denaro ciascuno…
Se noi mettiamo sul tavolo questo contratto, le emittenti devono mettere, dal canto loro, un piano triennale di investimenti, un ragionamento intelligente sul costo del prodotto, e un impegno a mantenere la delocalizzazione entro certi limiti.”


Anche Del Noce – assente durante l’intervento di Degli Esposti – affronta il tema della delocalizzazione.
Dice:”Tutti dovrebbero fare la loro parte.
Sarebbe necessario che i sindacati si rendessero conto che certe flessibilità  sono fondamentali.
Come è possibile che in Germania la produzione di fiction costi il 40% meno che in Italia?
Da noi, ad esempio, l’orario di lavoro inizia con il trucco degli attori,che notoriamente dura tre ore.
Non dico che debba iniziare con il primo ciak, ma certo uno sforzo in questo senso andrebbe fatto, il contenimento dei costi deve essere generalizzato, e non riguardare solo il cachet dei protagonisti.”


Su Tax Credit e delocalizzazione, Nicolas Traube porta l’esperienza francese:
“Abbiamo avuto il problema della localizzazione a fine anni “˜90, quando circa il 70% dei tv movies francesi veniva girato in Belgio, o in Portogallo, o in Romania.
E’ stato messo in piedi un tax credit, neanche tanto importante, dell’ordine di 100, 120 mila euro per 90 minuti, che è stato però sufficiente per riportare in Francia l’80% dei film che sono partiti. Ovviamente le grandi miniserie ad alto budget continuano ad essere prodotte altrove, ma per la produzione quotidiana questo tax credit ha funzionato molto bene.”

Sostiene Luca Milano, responsabile Marketing di Rai Fiction:
“Il Tax Shelter può essere uno strumento nella ricerca di nuovi modelli produttivi, può servire per la localizzazione.
Da questo punto di vista, comunque, in linea di principio non spingiamo mai a delocalizzare.
Questo può rendersi necessario per i budget, come sono gli stessi produttori a sottolineare.”


 


Le strategie e la politica: Conforti e Barbareschi
Michele Conforti, dell’Associazione Registi della Fiction Televisiva, affonda:
“Penso che emittenti, e in particolare l’emittente pubblica abbiano una grande responsabilità .
La fiction fa parte del contratto di servizio della quota afferente al canone.
Un servizio pubblico, che fa capo ad un canone pagato dai cittadini, si può permettere di delocalizzare, cioè di portare ricchezza all’estero, di diminuire la fiscalità  in Italia?
Gli autori e i produttori su questo hanno chiesto incontri alla Rai, ci siamo detti disposti a cambiare i modelli produttivi sempre che loro non facessero tagli lineari, ma operassero delle scelte.
Su questo c’è stata una chiusura netta.
C’è poi una questione che riguarda la politica: una politica pubblica generale (che in un momento di crisi dovrebbe sostenere le piccole e medie imprese) significa non solo estendere il tax credit al mondo della fiction, ma anche, ad esempio, introdurre nella finanziaria il concetto di nazionalità  italiana per la fiction, da cui potrebbero derivare poi delle risorse, come succede nel cinema coi ristorni, che sono un vero e proprio aiuto di stato.”


E la politica, chiamata in causa si è manifestata nelle parole di Luca Barbareschi, parlamentare del PDL, oltre che produttore.
Barbareschi ha chiuso il convegno sottolineando il problema politico che, secondo lui sottende alla crisi: quello dei contenuti:
“Non c’è a livello governativo l’idea dell’importanza dei contenuti, che ormai è riconosciuta dai grandi finanzieri in tutto il mondo.
Da noi si parla solo di infrastrutture economiche e tecnologia.
E’ come se negli anni “˜50 si fosse pensato solo a costruire le strade senza badare a cosa poi fare transitare su queste strade, quando invece è proprio lì che sta il vero business.
I contenuti sono l’unica chiave, nei prossimi anni ci sarà  una rivoluzione copernicana nel rapporto fra i contenuti, chi li produce, i broadcaster e le grandi aziende.
E’ necessario creare prodotti per varie piattaforme in cui il produttore avrà  come interlocutore direttamente la multinazionale di turno.”
Una rivoluzione che passa attraverso i cambiamenti in atto nel mondo pubblicitario, sottolinea Barabreschi, dove le grandi aziende non si accontentano più del ruolo di semplici investitori:
“Quando la digitalizzazione in Italia sarà  terminata e arriverà  TiVo (personal video recorder, n.d.r.), la pubblicità  potrà  essere cancellata. Già  si può fare adesso con MySky.
L’illusione berlusconiana anni “˜70, secondo la quale la vendita della pubblicità  garantiva le aziende, oggi è superata e non ha nessun senso. Adesso le grandi multinazionali sono in grado di finanziare: Starbucks, ad esempio, produce Paul McCarntney.
E’ necessario pertanto battersi in parlamento.
Purtroppo c’è un partito azienda che non vuole che il paese cresca in questa direzione.
Sarebbe però anche auspicabile che gli addetti ai lavori fossero fra loro più coesi, perché la coesione non c’è quasi mai.”

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