Nasce dalla passione di un produttore che si è fatto anche distributore che ha realizzato uno dei più interessanti e innovativi esperimenti di sfruttamento di un film, dove sono affiancati grande schermo e streaming on line, fin qui fumo negli occhi per gli esercenti.
Carlo Degli Esposti, che ha traghettato la sua Palomar anche sulla sponda distributiva, si innamora di un progetto, «Una storia sbagliata», di Gianluca Maria Tavarelli, che diventa film con Isabella Ragonese e Francesco Scianna.
Consapevole delle difficoltà di imporre sul nostro mercato film che non siano commedie (nel primo weekend Cinetel gli attribuisce poco più di 4000 spettatori), Degli Esposti studia modalità distributive e promozionali diverse e alternative: il web e i social network, (di cui è un esperto da quando ha prodotto «Braccialetti rossi»), una proiezione “pirata” (pilotatissima) sul modello dei concerti rave, che a Roma anticipa di qualche giorno l’uscita in sala e che fa parlare media e pubblico.
E poi – per la prima volta in Italia – tenta un esperimento di distribuzione day & date tra sala e streaming a pagamento on line, con gli esercenti complici e partecipi. «È un esperimento – spiega – e parte da un ragionamento (prima di essere colonizzati dalle grandi potenze dello streaming, iniziamo a usare noi questo strumento) e da un accordo fatto con i singoli esercenti».
Dall’altra parte c’è MYmovies, portale di cinema che non è solo vocato al noleggio a pagamento (nel nascente panorama di siti di questo tipo il suo specifico sono i film di nicchia di alto valore culturale), ma che nasce e continua a essere un magazine cinematografico: con qualcosa di più, una sala virtuale. Gianluca Guzzo, eco di MYmovies, definisce quello di «Una storia streaming sbagliata» un esperimento importante: già pensato in passato non era però partito, «forse perché i tempi non erano maturi, forse perché mancava qualcosa al progetto». La spinta e i suggerimenti di Degli Esposti l’hanno fatto decollare.
«È un modello di sfruttamento rivoluzionario, in quanto sono le sale ad avere acquisito il diritto di streaming che attribuisce loro una percentuale sulla vendita nel caso questa avvenga in un’area di 15 km. da dove si trovano. Siamo di fronte a un contratto a tre: noi, Palomar, l’esercizio». Quindi ne riassume i termini. «All’utente, quando arriva sulla piattaforma, si chiede una geolocalizzazione.
Gli viene quindi comunicato in quale sala nei pressi di casa sua può vedere il film.
In un secondo momento gli viene proposto lo streaming, il cui costo è di 3.99 euro. A noi va il 30 per cento, tolte le tasse.
Il resto viene diviso in parti quasi uguali tra distributore ed esercente. Se non ci sono sale o lo sfrut- tamento in sala è finito, l’incasso restante va tutto al distributore. Per salvaguardare le altre finestre di sfruttamento il film è visibile per 4 settimane. Quanto ai ricavi, siamo noi che li ridistribuiamo».
Alla fine tra le 50 e le 60 sale hanno aderito all’iniziativa. «Penso proprio perché ne hanno capito le potenzialità ed erano interessate alla sperimentazione: i dati di acquisto sono trasparenti, li ho io e li può vedere in tempo reale l’esercente. Quanto alla geolocalizzazione è molto precisa: tra due sale presenti nella stessa area di 15 km il sistema sceglie la più vicina».
Ora si sta già pensando da una parte a proporre il format all’estero e dall’altra al prossimo titolo: di nicchia, ma non necessariamente.
«Sono parecchi i distributori – conclude Guzzo – che ci hanno già contattato. Direi che sia loro, sia le sale sono pronti. Comunque, per capire le potenzialità della cosa, occorre una sperimentazione più in profondità, che coinvolga il pubblico e lo abitui, che proponga titoli anche un po’ più popolari. Sono convinto che è un metodo che può far recuperare al cinema proprio quel pubblico che per una questione di pigrizia o di distanza ha rinunciato alla sala».
LUIGI CUCINIELLO/Necessaria una riflessione
L’iniziativa legata all’ultimo film di Tavarelli è un esperimento distributivo sul quale dobbiamo aprire un confronto approfondito con produttori, autori e distributori. Per fare una valutazione sarebbe prima necessario analizzare i numeri registrati su Internet e le conseguenti entrate ottenute dalle strutture cinematografiche che hanno programmato il film.
La sala continua a rappresentare il luogo dove si definisce il valore commerciale di un film, anche in rapporto agli altri mezzi di diffusione. Ridurre la window senza fare le dovute riflessioni avrebbe ripercussioni negative non soltanto sulla sala, ma anche sugli altri comparti dell’industria proprio perché il film, perdendo il suo valore commerciale nelle sale, lo perderebbe anche sugli altri media. Ad essere convinti di questo non sono soltanto gli esercenti italiani: l’UNIC, l’Unione internazionale dei cinema, è intervenuta più volte a difesa delle window, che vengono salvaguardate con rigore anche negli Stati Uniti.