Quel che più sorprende della ricerca sull’export del cinema italiano presentata dall’ANICA nella scorsa Mostra del Cinema di Venezia, è che si tratta di un primo tentativo d’indagine su una “terra sconosciuta”. Non si capisce allora sulla base di cosa, per decenni, abbiano lavorato organizzazioni e associazioni votate alla promozione e alla vendita del nostro cinema all’estero.
Sorprendono meno i risultati cui è approdata la ricerca: nel periodo preso in esame (2006-2008) su 357 film prodotti, meno della metà (172) sono stati affidati a una società di distribuzione internazionale.
I cataloghi delle società esportatrici italiane sono composti solo per il 2% da titoli recenti.
Incide, sulla bassa percentuale, il fatto che quasi la metà dei 172 film venduti nel mondo (44% nella media del triennio) è affidato a società non italiane.
Quali siano questi film, la ricerca non mi sembra lo dica, ma è facile rintracciarli “” come ostinatamente Cinema & Video International segnala alla vigilia di ogni evento festivaliero”” nel miglior cinema italiano.
Quello, per intendersi, che gode della visibilità offerta dai maggiori festival internazionali.
Vedere questo fenomeno in positivo, come il segno di un riconoscimento del mercato internazionale al valore del nostro cinema, appare una forzatura eccessiva: sarebbe un’interpretazione accettabile se le nostre società esportatrici a loro volta avessero in listino importanti film di altri paesi.
Di fatto la mancanza di titoli “pesanti” in catalogo contribuisce a impoverire la nostra industria.
E’ la legge del mercato: il produttore riesce a ottenere dai venditori non italiani minimi garantiti che gli esportatori italiani non sono in grado di dare.
Il fatto che attualmente non sia previsto alcun fondo pubblico destinato alle imprese di esportazione (nel 2006 e nel 2007 furono erogati 50 mila euro per anno!) contribuisce a marginalizzare il settore, nonostante che, a parole, tutti convengano sul fatto che l’esportazione di cinema è strategica non per il fatturato che genera (l’8% del ricavo complessivo di un film, contro il 20% della Francia), ma per la quantità e la qualità dei contenuti in esso veicolati.
Le aziende italiane di export sono ormai rimaste in 11, vent’anni fa erano quasi 30, un numero destinato a scendere, dal momento che Rai Trade è procinto di essere assorbita all’interno della casa madre, la RAI. Lo scenario non migliora allargando l’obiettivo, che mostra tutte le difficoltà che incontrano gli interventi di promozione, nonostante le migliori intenzioni: il presidente di Cinecittà Luce, Roberto Cicutto, ha rivelato di aver dovuto rinunciare a sponsorizzazioni private e pubbliche trovate all’estero, perché non poteva, le leggi non lo consentono, presentare un piano triennale di promozione.
E certo non aiuta il fatto che la presidente degli esportatori ( Unefa), Paola Corvino, pur rivendicando orgogliosamente la professionalità dei propri associati, non abbia fatto”” è la mia impressione – proposte concrete su cui confrontarsi con le istituzioni e i produttori, nonostante fossero state apertamente sollecitate da Riccardo Tozzi, che dell’associazione dei produttori è presidente.
Forse un passo avanti si potrà fare al Mercato Internazionale del Film di Roma, che si è offerto di ospitare una tavola rotonda “a porte chiuse”, fra esportatori e produttori italiani.
L’invito è stato rivolto dalla coordinatrice Diamara Parodi Delfino, durante il convegno di Venezia, in un contesto di forte disagio a causa della deludente performance degli spazi Industry creati dalla Mostra (alla cosa dedichiamo un articolo nella pagina che segue).
Le attese si trasferiscono ora sul Mercato del Festival Internazionale del Film di Roma (The Business Street) , che sta conquistando, a piccoli ma solidi passi, la fiducia e la simpatia degli operatori internazionali.
Penso sia importante difendere questo superstite “presidio” internazionale in Italia.
L’industria audiovisiva italiana è già stata privata del Mifed, cancellato per responsabilità di Fiera Milano, con il concorso dell’indifferenza delle istituzioni centrali, e della tiepida reazione del mondo professionale. Sarebbe grave e ingiustificato se dopo aver perso il primo e più importante Mercato di cinema al mondo, mentre Venezia si disfa come in un acquerello di Turner, si facessero mancare al Festival di Roma e al suo Mercato le risorse necessarie per crescere.
Paolo Di Maira