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Intervista con Steve Ross, autore del libro “Hollywood Left and Right: How Movie Stars Shaped American politics”: un’ ottima lettura in vista della tornata elettorale del prossimo autunno negli States.
Steve Ross ci incontra nella sua casa di Westwood, quartiere-set dell’ultimo film di Quentin Tarantino, C’era una volta a Hollywood. Professore di storia alla University of Southern California da tempo studia i rapporti, complessi e non lineari, tra Hollywood e la politica. Li ha descritti in un libro Hollywood Left and Right: How Movie Stars Shaped American politics, che è un ottimo punto di partenza per comprendere lo scenario di questa tornata elettorale nel mondo dell’entertainment Americano.
Come è iniziata la storia dell’interesse reciproco tra Hollywood e la politica?
Chi per primo si è reso conto delle potenzialità politiche dei film è stato Charlie Chaplin, che chiamerei la prima star “politica”. Chaplin non amava far parte di gruppi o partiti, non amava parlare in pubblico, ma sullo schermo ha portato il suo messaggio anti-autoritario che è arrivato a milioni di persone in tutto il mondo. E l’anti-autoritarismo è davvero il “genere politico” che ha avuto vita più lunga sullo schermo. Chaplin tirava giù il cappello al poliziotto, e tutti amavano il fatto che attaccasse le figure autoritarie che rendevano difficile la vita della gente comune, a tutti i livelli. Dal padrone di casa al capo-reparto sul lavoro, dal poliziotto al funzionario del governo, su su fino ai personaggi della politica mondiale come Hitler e Mussolini.
Successivamente è nata l’attenzione per la politica “elettorale”, ma non come si crede generalmente. Se infatti la “sinistra” hollywoodiana è stata quasi sempre più visibile e numerosa, la destra cinematografica ha avuto un impatto maggiore sulla politica americana. Ed è stata la destra conservatrice di Hollywood, guidata da Louis B. Mayer (il fondatore della MGM) a stabilire la prima relazione ufficiale tra uno Studio e un partito politico. Nel 1928 trasformò di fatto MGM in un ufficio propaganda del Partito Repubblicano. Ogni volta che un repubblicano si candidava a senatore, a governatore, o a Presidente, Mayer lo invitava nei suoi studios, costruiva un set, invitava le maggiori star che aveva sotto contratto con giornalisti e fotografi e il giorno dopo le foto di quel politico e delle star che lo circondavano finiva sulle prima pagine di tutti i quotidiani americani. Ma Mayer non si limitò a questo. MGM diventò il campo di addestramento per futuri attivisti repubblicani. I casi più famosi sono George Murphy, attore e ballerino che divenne senatore, e Robert Montgomery. Murphy fu poi il mentore di un attore chiamato Ronald Reagan.
Perché allora Hollywood è sempre stata considerata un feudo liberal e di sinistra?
Le star del cinema, che avevano e hanno poco tempo per occuparsi di politica “elettorale” decidono di impegnarsi in quella che chiamo “politica dei grandi temi” . Scelgono una battaglia, come oggi quella sul riscaldamento globale, o “salviamo le foche” o “il New Deal Verde” e questo impegno lo possono adattare al proprio calendario, possono occuparsene anche mentre girano un film. Il primo grande impegno “tematico” c’è stato nel 1936, quando molte star, guidate da Edward G.Robinson crearono la Hollywood Anti-Nazi League, che era un modo per usare la propria celebrità per attirare l’attenzione sul pericolo del Nazismo e del Fascismo in Europa e in America. Molti degli stessi attori ebbero poi problemi durante il Maccartismo. Non importava se la lotta al Fascismo era stata una giusta battaglia, l’HUAC (la Commissione parlamentare per le Attività Anti-Americane) mise in causa chiunque era stato apertamente anti-nazista prima dell’inizio delle Seconda Guerra Mondiale con la folle accusa di “anti-fascismo prematuro”. Il maccartismo ha di fatto bloccato l’attivismo di Hollywood fino all’epoca di John F. Kennedy.
Negli anni ’60 arrivano i grandi movimenti politici…
Anche a Hollywood c’è una “politica dei movimenti”. Vi partecipano pochi personaggi, radicali di destra e di sinistra, interessati non tanto a vincere un’elezione, ma a trasformare la natura stessa dello Stato e del governo in America. A sinistra c’era gente come Harry Belafonte e Jane Fonda che credeva nella possibilità che solo un movimento dal basso potesse portare a un radicale cambiamento per creare un Paese più progressista, dove fossero riconosciuti i diritti civili, dove si prendessero sul serio le energie alternative, il riscaldamento globale, temi di cui erano i primi e i soli a parlare.
A destra c’erano Ronald Reagan e George Murphy che si erano dedicati alla distruzione del New Deal rooseveltiano, considerato “socialismo strisciante”, smantellando le varie istituzioni del welfare.
Nel suo libro lei parla anche di “politica dell’immagine e di “politica della celebrità”. Può spiegarne il senso?
Nella “politica dell’immagine” attori, divenuti famosi anche per aver interpretato ruoli politicamente significativi, portano quei ruoli fuori dallo schermo. A destra abbiamo personaggi come James Stewart e John Wayne, a sinistra esempi come Gregory Peck, e oggi George Clooney. Il caso più famoso e controverso è quello di Charlton Heston , che iniziò a sinistra e si spostò a destra. Heston fu la prima star di Hollywood a partecipare ad una manifestazione per l’integrazione razziale nel 1960 e usò costantemente la sua immagine di interprete di Mosé ne I Dieci Comandamenti. Quando arrivava ad una manifestazione la gente diceva “E’ arrivato Mosé, è arrivato Mosé!”. Passò ai Repubblicani nel 1972 e divenne portavoce nazionale della NRA, la lobby dei produttori di armi. Si presentava sul podio brandendo un moschetto esattamente con lo stesso gesto con cui Mosé, nel film, alza il bastone per separare le acque del Mar Rosso.
L’ultima forma è quella della “politica della celebrità” e qui i casi più incredibili sono Arnold Schwarzenegger e Donald Trump. La campagna di Schwarzenegger era basata esclusivamente sul suo essere una “celebrity”: ha annunciato la sua candidatura al “Tonight Show” e ha rifiutato qualsiasi intervista sul suo programma politico fino a pochi giorni prima del voto. In questo seguiva i consigli dello zio acquisito, Ted Kennedy, che una volta gli disse “non parlare mai di politica in pubblico, perché ti farebbero a pezzi”. Schwarzy diceva solo: “Ripulirò il governo, dirò ai funzionari pubblici, fate il vostro dovere o sarà “Hasta la vista, Baby” o altre battute dei suoi film. La campagna divenne “entertainment”, e lui vinse.
Più o meno lo stesso è successo con Donald Trump. Che si è presentato non tanto come immobiliarista newyorkese, ma come conduttore del programma televisivo “The Apprentice”. Era stato prima democratico, poi repubblicano, andava dove gli conveniva per i suoi affari. Viene eletto presidente senza alcuna esperienza politica . Solo dopo ci siamo accorti che eleggere governatori e presidenti senza esperienza politica è un disastro.
Che cosa vuol dire per un politico avere il sostegno delle celebrità hollywoodiane?
E’ importante, ma i media lo considerano molto più importante di quello che è. Avere il sostegno di un Humphrey Bogart o oggi di Ryan Gosling o Scarlett Johansson, non significa che la gente voterà automaticamente per te. L’importanza della “celebrity” è di farti prestare attenzione ad un candidato al quale altrimenti non ne avresti data. E’ una premessa, per poi eventualmente dargli il tuo voto. C’è poi una rottura generazionale. Per chi ha, diciamo, più di 40 anni, le star del cinema contano e conta chi sostengono politicamente. Per la generazione dei miei figli, dai 20 ai 40, contano i musicisti e i gruppi musicali, molto più che gli attori.
Quanto è importante Hollywood per finanziare le campagne elettorali?
C’è molta attenzione da parte dei candidati presidenziali al denaro di Hollywood. Il motivo di questa attenzione è che con la sola eccezione del settore dell’Hi-Tech, i soldi degli altri possibili finanziatori sono sparsi in tutto il Paese, mentre l’industria dell’entertainment è tutta qui, in questa città, quindi è molto più facile raccogliere quattrini.
E dove andranno quest’anno i soldi di Hollywood, ai Democratici o ai Repubblicani?
Bisogna fare un’importante distinzione, tra quella che chiamo “corporate Hollywood” e la “Hollywood creativa”. Gli Studios, la Hollywood del business, molto spesso dà soldi a tutte e due le parti in gioco. E recentemente direi che tendono a dare più soldi ai Repubblicani che ai Democratici. La parte creativa di Hollywood, le star, i grandi registi e sceneggiatori, tendenzialmente si colloca a sinistra e finanzia maggiormente i Democratici.