di Franco Montini
Tutto è bene quel che finisce bene” ha commentato il sottosegretario Gianni Letta a conclusione della lunga vicenda relativa ai tagli e al successivo reintegro dei fondi pubblici per la cultura.
Ma, tanto per usare il titolo di un’altra commedia shakespeariana, diventata anch’essa una sorta di adagio, sarebbe stato più opportuno dire: “Molto rumore per nulla”.
Il risultato della querelle, che ha visto scontrarsi duramente artisti e governo e sparigliato le posizioni anche all’interno della maggioranza che sostiene l’esecutivo, è infatti che tutto torna come prima: nessuna novità , nessun euro in più o in meno rispetto a quanto accaduto nel 2010, nessuna nuova strategia nel sostegno ad un settore primario per il nostro paese anche da un punto di vista squisitamente economico. Grazie al recupero di nuovi fondi, allo scongelamento di risorse. bloccate e a quanto già precedentemente previsto, l’entità del FUS 2011 viene ristabilita a 428 milioni di euro, mentre l’improvvido ed iniquo prelievo sul biglietto del cinema, approvato di recente con il decreto Milleproroghe, viene abolito e il tax credit reso stabile e permanente.
Rispetto a quanto accaduto, con particolare riferimento alla conclusione della vicenda, i commenti di associazioni ed esponenti del cinema in molti casi tradiscono nell’eccessiva soddisfazione espressa, quello che era evidentemente un timore: ovvero che dopo tagli così drastici e chiare volontà punitive nei confronti del settore, fosse improbabile recuperare tutto.
Si giustificano così certe dichiarazioni che risultano perfino ridicole, quando, come si legge in un comunicato degli esercenti di Anec, Anem e Fice, si finisce per ringraziare, oltre che il sottosegretario Letta, perfino Sandro Bondi, come se tutto ciò che si è verificato in questi mesi non fosse in buona parte responsabilità del comportamento timido e imbelle del ministro uscente.
Del resto proprio per distinguersi dal predecessore e dare un segnale di discontinuità e di rottura rispetto al passato, non è un caso che il nuovo responsabile dei Beni Culturali, Giancarlo Galan, si sia subito espresso con tutt’altro piglio, affermando: “Basta con la Cultura Cenerentola della politica italiana”.
L’augurio è che il proposito possa trasformarsi in realtà .
Intanto, perfino un giornale, tutt’altro che aprioristicamente critico nei confronti del governo, come Il Foglio ha scritto in proposito: “si può pensare che in politica conta, e molto, la tempestività delle scelte, che in questo caso è mancata in modo piuttosto clamoroso, e il modo in cui ci si arriva?
La sufficienza un po’ andreottiana di Letta tende a glissare, e questo è del tutto comprensibile, ma sarebbe sciocco sottovalutare i danni di immagine e di autorevolezza che il governo ha patito in questa vicenda”.
Come sempre, mentre le sconfitte sono spesso orfane, le vittorie hanno molti padri e in questo caso non c’è dubbio che il ravvedimento del governo sia stato indotto dalla fortissima mobilitazione di tutto il mondo della cultura, con le associazioni schierate all’unisono contro i tagli e l’intervento di personalità di enorme prestigio: il maestro Riccardo Muti, il presidente dell’Accademia di Santa Cecilia Bruno Cagli, il presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali Andrea Carandini, mentre dal settore cinema si sono levate anche singole voci popolari, come quelle di Roberto Benigni e Bernardo Bertolucci.
Salvo poche eccezioni, è il caso de Il Giornale, velenosamente contro il sostegno statale al cinema, dimenticando che ben maggiori risorse vengono concesse alla stampa, i media hanno complessivamente sostenuto la protesta e dato ampia eco alle iniziative organizzate per contrastare sia i tagli delle risorse pubbliche, sia l’introduzione del prelievo sul biglietto.
Piuttosto c’è da riflettere e da discutere sulle modalità individuate per reperire le risorse destinate al reintegro dei fondi per la cultura.
Per fare cassa in maniera rapida e garantita, il governo Berlusconi ha deciso di applicare, secondo vecchie logiche e consolidate strategie, un prelievo sulle tasse della benzina, con l’aumento di un centesimo o due (la cosa non è stata del tutto chiarita) delle accise.
“Un piccolo sacrificio che tutti gli italiani saranno lieti di fare” ha improvvidamente annunciato il soave Letta, scatenando subito l’ira dei consumatori e delle associazioni di categoria.
Indimenticabile in proposito il commento di Massimo Gramellini pubblicato su La Stampa:
“Gli intellettuali ostili non hanno sempre detto che la cultura è il nostro petrolio?
E allora si tassi quello degli altri per attingere a quello metaforico, prodotto dalle viscere della nostra storia patria”¦ Per carità di patria eviterò di ricordare quanto ci costi il volo di ogni Tornado sopra la Libia in fiamme (32mila euro all’ora comunque).
Ecco qualche testa fina starà già pensando: perché sprecare tutti quei soldi per la cultura quando ce n’è così bisogno per i bombardamenti? Che la tassa sul petrolio vada a finanziare la guerra del petrolio: resterebbe uno scippo, ma almeno sarebbe uno scippo coerente”.
Per altro, senza bisogno di mettere le mani nelle tasche degli italiani, ci sarebbe stato un modo rapidissimo ed indolore per reperire i fondi necessari per il reintegro, la miseria di 256 milioni di euro, accorpando la tornata elettorale di primavera con le votazioni referendarie.
Risparmio garantito fra i 300 e i 350 milioni di euro, ne sarebbero avanzati un centinaio per ulteriori interventi, non è vero ministro Galan?