di Angelo Zaccone Teodosi*
La storia professionale di chi scrive queste note è in qualche modo intrecciata con quella del Fus: in effetti, la nascita del Fondo Unico per lo Spettacolo (1985) coincide con il mio ingresso nel”¦ rutilante mondo del cinema e dell’industria culturale e la storia agrodolce del Fondo accompagna il mio percorso professionale.
Tra diploma del Csc e laurea alla Luiss, nel 1986 entro in Anica per dirigere l’Ufficio Studi.
Nel 1990, vengo cooptato dall’allora Ministro per il Turismo e Spettacolo, il socialista Carlo Tognoli, come suo consigliere di fiducia, e vengo nominato consigliere di amministrazione a Cinecittà , braccio operativo del dicastero, alimentato ovviamente dal Fus.
Posso consentirmi di proporre una “teoria critica del Fus”, ricco di un’altra esperienza diretta, cioè forte anche di aver diretto una mega-ricerca (2.000 pagine di elaborati) sul Fus, realizzata su incarico dell’allora Sottosegretario, il compianto cattolico Mario D’Addio (Governo Dini), avviata da Gianni Letta (durante il Berlusconi I).
Ricerca ancora oggi unica ed inedita, sebbene sia stata impropriamente utilizzata come una delle bombe di Feltri, nella prima fase, dieci anni fa, della vicenda “Filmopoli” (la “tangentopoli” del cinema) su “il Giornale”. Anzitutto, va ricordato che il Fus è nato all’interno della migliore stagione del centro-sinistra e della sua vocazione alla programmazione economica pluriennale.
Rileggendola a distanza di oltre 30 anni, la legge che ha istituito il Fus (la n. 163 del 1985), voluta dal compianto Ministro socialista Lelio Lagorio, appare moderna, innovativa, quasi tecnocratica.
Purtroppo, è stata interpretata male, ed applicata peggio.
Lo spirito di razionalizzazione e di programmazione del Fus è stato alterato nel corso dei decenni, con interventi normativi ed interpretazioni regolamentari distorcenti: se il fondo era nato proprio per ricondurre ad unità e razionalità (efficienza / efficacia) le decine di leggi e leggine, leggi-ponte e leggi-tampone che avevano caratterizzato per decenni l’intervento dello Stato italiano nello spettacolo, la storia del Fus rappresenta la paradossale vicenda di una legge giusta, ma snaturata nel corso degli anni.
La domanda è ormai: serve il Fus?
E, semmai, quali le alternative al Fus?
La mia opinione, da studioso di politica culturale e di economia mediale, è che il Fus sia insostituibile.
Ribadisco: insostituibile.
Le teorie dei picconatori Brunetta e Tremonti cozzano con la realtà (e non solo con la “legge di Baumol”): in tutti i Paesi del mondo (Usa inclusi),il sistema artistico e culturale ha necessità assoluta ed insostituibile della “mano pubblica”.
E soprattutto dell’intervento diretto (sovvenzioni), prima che indiretto (incentivi).
Rectius: il sistema culturale ne ha necessità , se il legislatore ritiene che il ruolo dello Stato debba essere quello di ampliare lo spettro del pluralismo di offerta e stimolare una domanda meno massificata e non asservita alle sole regole del “libero mercato”.
Il problema vero ed unico è altro, non l’alternativa “Fus / non Fus”.
La questione è l’architettura del Fus: ormai vetusta, ridotta a penoso strumento di conservazione.
Le “barriere all’entrata” nel sistema del Fus sono alte; il fondo discrimina i non “protetti”; ignora la ricerca, l’innovazione, la sperimentazione, le nuove tecnologie mediali”¦
Il “sistema informativo” del Fus dovrebbe ruotare intorno alla “Relazione” annuale ed all’Osservatorio dello Spettacolo”, che invece, nel corso dei decenni, non sono mai divenuti gli strumenti tecnici cognitivi che il legislatore aveva previsto.
Hanno prevalso interventi emergenziali, gestioni miopi dei fondi, ripartizione irrazionale dei fondi tra i vari settori, amministrazioni burocratiche, clientelismi e sprechi, e finanche corruzione (“meglio conoscere poco, per governare meglio”, clientelarmente, nella miglior tradizione meta-andreottiana).
Ma non va buttato il bambino, insieme all’acqua sporca.
Non saranno il tax shelter ed il tax credit a poter sostituire il Fus: questa tesi iperliberista è una chimera.
Sarebbe bastato un “sistema informativo” adeguato (un Osservatorio efficace, una Relazione annuale autentica) per dimostrare che “” inefficienze a parte (enti lirici, in primis) “” l’intervento dello Stato nel settore ha comunque storicamente prodotto reddito e ricchezza, pluralismo imprenditoriale ed espressivo.
E quindi non andava ridotto.
Invece, radiografie del Fus, analisi di impatto, valutazioni di efficienza ed efficacia non sono mai state realizzate.
Col risultato di consentire ai detrattori di teorizzare il fallimento totale dello strumento, e di far passare i difensori come ipocriti interessati a mantenere la propria rendita di posizione.
La dotazione del Fus (al netto dell’inflazione) è stata ridotta in modo criminale dai governi che si sono avvicendati, in particolare del centrodestra: in termini reali, il Fus 2007 (441 milioni di euro) ha sofferto una riduzione del 44 % rispetto al budget 1985.
Due le ricette, entrambe urgenti:
(1.) Il budget del Fus deve essere riportato almeno ai livelli del 1985, con una dotazione diretta stabile, almeno triennale, nel bilancio dello Stato, senza inventarsi finanziamenti astrusi (tasse di scopo o altri improbabili prelievi): questa è l’unica scelta di “politica culturale” degna di un Governo che assegna realmente (e non a chiacchiere) priorità alla cultura.
Nel 2008, la Francia ha destinato solo alla cinematografia una somma superiore all’intero ammontare del Fus in Italia.
Un budget di 800 milioni di euro (ovvero l’equivalente del budget 1985 al netto dell’inflazione: 778 milioni) è assolutamente compatibile con il bilancio, seppur di guerra, dello Stato italiano.
Se si crede realmente nel volano della cultura.
(2.) La distribuzione del Fus deve essere radicalmente modificata, ma ciò può avvenire seriamente solo dopo una finora mai realizzata approfondita ricerca sul campo, e non legiferando chiusi nelle aule parlamentari, ascoltando solo le lobby.
Un “libro bianco” sul Fus è indispensabile, e peccato che l’indagine parlamentare proposta un decennio fa dall’ex leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio sulla gestione del Fus non abbia mai avviato il proprio iter.
Una nuova architettura teorica del Fus potrebbe consentire la radicale ristrutturazione, indispensabile per evitare che prevalgano i picconatori folli.
* Angelo Zaccone Teodosi (nella foto) è Presidente IsICult (Istituto italiano per l’Industria Culturale), centro indipendente. di ricerca sui media e la cultura fondato nel 1991. Alcune delle ricerche IsICult sono state pubblicate in volume: “L’occhio del pubblico. Dieci anni di ricerche Rai-IsICult sulla televisione europea” (Rai Eri Editrice), “Il mercante e l’artista. La via italiana al tax shelter” (Spirali Editore). Sito web: www.isicult.it
foto di Dalia Lupo