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FUS 2009/Il Cinema finanzia lo Stato?

di Adriana Marmiroli


La Consulta dello Spettacolo ha votato una mozione contro il FUS 2009 e le sue ripartizioni.
L’Agis in blocco definisce “inadeguati” gli stanziamenti, ulteriormente ridotti rispetto a un 2008 già  misero, il cui Fus era stato definito di “mera sopravvivenza”.


Le promesse di nuove iniezioni di euro si sono trasformate in un’ulteriore decurtazione dei finanziamenti e protratti silenzi.
Non i 460 milioni promessi, ma 378 (+ 20 aggiuntivi per la lirica), di cui alle attività  cinematografiche nella ripartizione finale ne andrà  il 18.5 per cento, ovvero 69.746.497,20 euro.


Davanti a queste cifre, Riccardo Tozzi, presidente dell’Unione Produttori Anica, ha affermato che, stando così la situazione, è ormai il cinema a finanziare lo Stato. 
Siamo andati a chiedergli ragione di questa che pare una provocazione


«Una provocazione? Per niente. Si tratta di una valutazione corretta dei fatti.
Lo Stato deve ai produttori circa 40 milioni di euro che ci spettano e che corrispondono a ristorni sugli incassi mai resi.
Le spiego: abbiamo una legge sulla suddivisione degli incassi che risale alla notte dei tempi e che, per tutelare gli esercenti (giustamente: le sale nei centri storici hanno costi molti alti, anche se ora la realtà  dell’esercizio si è completamente trasformata), attribuisce ai produttori la quota più bassa al mondo, solo il 25 per cento.
Pur di non cambiare lo status quo lo Stato ha preferito assegnare ai produttori un ristorno sugli incassi.
Non costituivano un problema, finché “” erano gli anni 80-90 “” il cinema italiano era poco visto.
Ma a partire dal 2000 la situazione è cambiata: i film italiani sono tornati a incassare e a rappresentare una quota importante del mercato.
A questo punto quanto lo Stato ci dovrebbe dare è tanto, e così non lo paga.
Abbiamo anni di ristorni non resi.
Un credito che abbiamo valutato in circa 40 milioni di euro: una cifra già  inverosimile.
Se poi, basandoci sul passato e gli incassi a oggi, facciamo due calcoli sul 2009, arriviamo a 70.
Ovvero il cinema ha dato allo Stato un milione in più di quanto questo non ci attribuisca con il Fus.


Rispetto al 2008, quando il Fus era stato di 456 milioni di euro e il 19,5 per cento era stato attribuito al cinema, la diminuzione è più che consistente.
Da circa 88 milioni si è passati a 69.
Abbiamo chiesto al Ministero un’integrazione e questo si era impegnato a trasferire al cinema altri 30 milioni.
Era gennaio, ora è aprile e non se n’è saputo più niente.
Se la situazione resta così, d’accordo anche con gli autori, ci prepariamo a procedere con iniziative e pubbliche prese di posizione.
Un po’ sul modello di quanto accadde per la tax credit quando proponemmo il boicottaggio della Mostra del Cinema di Venezia.
Allora tutto rientrò.
Vediamo cosa accadrà  quest’anno.


Ma lo Stato dice di non avere soldi e che tutti devono fare sacrifici.
E’ stata introdotta la porno tax.
E il porno in fondo è un comparto “” seppure particolare “” del cinema. Ha portato alle casse dello Stato parecchi soldi.
Qualcosa dovrebbe tornare a noi.
In più stiamo parlando di un settore industriale che ha fatto al suo interno, e senza nulla chiedere a nessuno, una profonda modifica.
No, questo silenzio indica solo un marcato disinteresse del Ministro verso di noi.

E’ già  finito l’ idillio con il ministro Bondi e con Direttore Generale Gaetano Blandini?
Finora i rapporti erano stati ottimi.
Ci siamo sempre fidati di quanto ci veniva detto e promesso.
E’ evidente che non sono loro a tenere i cordoni della borsa.
Ma un Ministro si deve battere per il suo comparto.
In questo caso si tratta di una cifra per noi importante e per lo Stato minima.


 


LE SALE DI CITTA’ CHIUDONO: ALLARME DEL CINEMA ITALIANO


“Un problema che abbiamo inizialmente sottovalutato, e che è effetto di un processo lento ma ormai giunto in una fase esplosiva, è la sparizione progressiva delle sale urbane in provincia.
E non in piccoli centri, ma in città  capoluogo, importanti, con decine quando non centinaia di migliaia di abitanti”.
Riccardo Tozzi lancia l’allarme:
“Con la chiusura di queste sale si sta perdendo il pubblico adulto, borghese, acculturato, quello che ama il cinema italiano, quello d’autore e la commedia, e poco i multiplex e i blockbuster americani.
Dai calcoli che abbiamo fatto analizzando gli incassi possiamo dire che ne abbiamo almeno il 30-40 per cento, a favore di altre forme di intrattenimento.
Vorremmo che ne venisse incentivata la riapertura e ristrutturazione, magari pensando a un’innovazione nella loro gestione, sul modello di quanto sta avvenendo in altri paesi, a Parigi e Londra, dove la sala cinematografica è diventata anche altro, oltre che semplice luogo dove assistere alla proiezione di un film.
Per ora abbiamo iniziato a dialogare con le regioni, a partire dal Lazio.
Ancora è presto per scendere nei dettagli, ma posso dire che lanceremo una campagna su questo tema”.

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