I 60 anni della Berlinale sono stati una festa per la città intera,
tappezzata, in ogni angolo, dei manifesti delle star del cinema che si sono
avvicendate sul tappeto rosso.
I berlinesi e gli amanti del cinema, inoltre,
hanno letteralmente sfidato le intemperie per godersi, la notte del 12 febbraio
alla Porta di Brandeburgo, la versione restaurata (dopo 83 anni) di
“Metropolis”.
Ma per celebrare degnamente l’evento, la Berlinale ha “allungato” il suo
tappeto rosso ben oltre i luoghi dove normalmente si concentra il Festival,
coinvolgendo 10 zone della città che normalmente restavano fuori dal glamour del
Festival. Il titolo dell’inizativa Berlinale Goes
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src=”https://www.cinemaevideo.it/wp-content/uploads/keynotes.jpg”>Kiez,
rende perfettamente l’idea: “portare” un pezzo di festival nei piccoli cinema
periferici.
Ogni sera in un quartiere diverso, un cinema “d’essai” ospitava
2 film del Festival, a cui era dedicata una proiezione “di gala”, (con tanto di
tappeto rosso per il cast) , presentata da una famosa personalità del cinema di
Berlino (Wim Wenders, Michael Verhoeven, Santa Berger”¦), che in molti casi era
anche legata al quartiere da una relazione speciale.
“I Berlinesi hanno
finalmente la possibilità di trovare il Festival proprio sulla soglia di casa”,
ha affermato Dieter Kosslich, direttore del Festival.
E
agli scenari futuri del cinema (e soprattutto dei cinema) all’interno del
paesaggio urbano è stata dedicata la Berlinale Keynotes di quest’anno, che si è
svolta all’interno della NationalGalerie (in collaborazione con
Museo Nazionale di Berlino e con l’Agenzia Federale per
le Politiche Educative), con i contributi di importanti personalità
dell’architettura e del cinema, come Norman Foster
(Foster and Partners), Marin Karmitz,
fondatore di MK2.
Organizzata dalla Berlinale e dal
Medienboard Berlin-Brandeburg, con il
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src=”https://www.cinemaevideo.it/wp-content/uploads/kosslich1.jpg”>supporto
della Alfred Herrhausen Society, la Berlinale Keynotes è un
forum che dal 2007 si propone di indagare sul futuro del cinema.
“Una delle
domande che mi sono state più frequentemente poste dai giornalisti in questi
giorni è: “˜Il 3d cambierà il volto del Festival?, – ha esordito Dieter Kosslich,
aprendo i lavori,- “Chiaramente no!”, rispondo io, le sale saranno semplicemente
attrezzate per il 3d! Quello che il 3d modificherà sarà la fruizione, rendendo i
film più interessanti”.
“Per il momento il 3d sta aiutando la vita dei
cinema, perché costituisce un’attrattiva e una novità talmente grande, che la
gente va più spesso al cinema e paga anche di più”.
“Ma quello che mi sta
più a cuore e che mi preoccupa – ha sottolineato Kosslich – è la questione
dell’architettura delle nostre città in relazione ai cinema, specialmente ai
piccoli cinema indipendenti che stanno morendo.
E’ pertanto necessario
iniziare a pensare in maniera differente: come legare in futuro architettura,
cinema e ambiente, in modo che le persone non perdano la possibilità di godere
di un intrattenimento intelligente all’interno delle loro città .
Gli
amministratori dovrebbero dare supporto al cinema nella sua dimensione di luogo
di aggregazione nevralgico e puntare sul suo ruolo di vivacizzatore dei
quartieri.”
FOSTER/Prossima Fermata:IL CINEMA
La mia educazione
al cinema da bambino è stata con i film di “Flash Gordon”, che vedevo
regolarmente il sabato mattina all’ “Arcadia”, uno dei 5 cinema a cui si poteva
arrivare a piedi da casa mia”.
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src=”https://www.cinemaevideo.it/wp-content/uploads/foster.jpg”>Così
Norman Foster rievoca le sue prime esperienze al cinema.
Per lui, che viveva in un’area industriale di Manchester , il cinema era
“qualcosa di straordinario in un mondo ordinario”.
Il più grande di questi
cinema si chiamava Regal, fu creato nel 1937, in stile Art Decò e poteva
ospitare fino a 1000 persone.
“Mi ricordo che il manager accoglieva ogni
volta glispettatori sulla porta vestito da sera, poi ognuno veniva accompagnato
al suo posto, come oggi si fa al teatro o all’opera”.
La Golden Age del Cinema corrispondeva anche ad una Golden Age dei cinema:
“in quel periodo sono stati creati tanti edifici straordinari in luoghi
ordinari, come l’Odeon Group, il Chinese Theatre a Los Angeles, Radio City Music
Hall a New York, il Titania di Berlino”¦”
Quell'”Età dell’Oro” era anche
un’era felice per il design, a cui corrispose anche la nascita dei viaggi
intercontinentali attraverso la ferrovia: “un modo molto civilizzato di
viaggiare”.
Foster individua una connessione molto interessante tra modi di
viaggiare e fruizione cinematografica: ” Il declino del cinema coincide con
l’affermarsi dell’automobile e il conseguente tramonto del treno come principale
mezzo di trasporto”.
Sono gli anni in cui comparvero i primi drive “” in.
Ora, complici i problemi del traffico, ” assistiamo nuovamente all’ascesa
del treno e a una più alta qualità del trasporto pubblico, cui corrisponderà una
crescita della sala cinematografica”.
Basta guardare cosa sta accadendo in
Cina, dove ” entro il 2020 saranno costruiti 50 mila chilometri di nuove linee
ferroviarie”.
“Certo, macchine ed aerei non scompariranno, ma credo che
stiamo tornando proprio a quel modo civilizzato di viaggiare, che riporterà la
gente nel cuore delle città “.
E qui Foster ha portato ad esempio l’ Ufa
Palast di Dresda, progettato da Wolf D. Prix, : “un grandioso multisala in
centro, vicino alla stazione dei treni e al grande network che riporterà la
gente in città “.
“Se penso anche ad altri edifici a cui abbiamo lavorato, che riguardano altre
discipline (la Public Library di New York, o centri di ricerca medica), mi
accorgo che esiste un denominatore comune nella progettazione, e cioè quello di
prevedere spazi per l’aggregazione sociale, per condividere la conoscenza o la
cultura”.
“Più che di cinema “” è stata la conclusione di Norman Foster al
Forum della Berlinale – si dovrebbe parlare di Arts Centres del futuro”.
Così concepiti, ha predetto, “torneranno ad essere intimamente connessi al
tessuto urbano”.
( C. M. )
KARMITZ/Come ho salvato il 19esimo Arrondissement
src=”https://www.cinemaevideo.it/wp-content/uploads/karmitz2.jpg”>MK2 è un
gruppo di 10 sale, 58 schermi e 5 milioni di spettatori.
Ho impiegato 40
anni a costruire questo network, che è nato dopo i movimenti del 68: allora si
sentiva una forte esigenza di creare un nuovo modo di concepire la società e il
cinema.
Negli anni 70 si assistette ad uno sviluppo urbano problematico: la
periferia di Parigi si stava allargando a dismisura e l’impatto politico e
socio-economico fu piuttosto forte.
In quel periodo sono nati molti
multiplex, l’idea è stata quella di concentrarli agli Champs Eliseé, a
Montaparnasse, nel Quartiere Latino, e poi fuori, in periferia: tutto ciò che
stava in mezzo è svanito, e mi riferisco soprattutto ai piccoli cinema di
quartiere; nel 19esimo arrondissement se ne contavano ben 26, che oggi sono
spariti.
Dopo il ’68 sentivamo che il cinema poteva diventare il luogo dove
dar voce alla controcultura, ma per far questo c’era bisogno di inventare un
nuovo tipo di architettura.
La mia idea era quella di superare la
frammentazione fra le diverse forme d’arte, che in qualche modo dovevano
coesistere.
L’architettura dei cinema fino ad allora non era pensata per
questa deframmentazione, così abbiamo cercato un posto dove proiettare films ma
anche ospitare mostre, librerie, ristoranti”¦
Una delle esperienze più interessanti, ed anche la più recente, è stata
proprio quella nel 19esimo arrondissement, una delle zone più interessanti, ma
anche più disagiate di Parigi.
Lì c’è un bellissimo canale e c’erano due
hangar in disuso che volevo trasformare in cinema, conservandone la struttura
originaria.
L’area però era molto rischiosa, la gente non osava uscire di
casa dopo le otto di sera.
Girava molta droga e molti ristoranti e negozi
stavano chiudendo, tant’è che nessuno si fece avanti quando indissi il bando per
cercare persone interessate a comprare i ristoranti.
C’erano inoltre due
blocchi di abitazioni popolari, dove neanche la polizia entrava di notte.
Si
registrava un omicidio a settimana a causa degli scontri fra bande rivali, e poi
c’erano i cosiddetti “little brothers”, cioè i ragazzini di queste case popolari
che erano molto violenti e causavano problemi. Abbiamo dovuto fare un lungo
lavoro, alla fine del quale però, anche questi ragazzini hanno iniziato a
frequentare civilmente il cinema e per di più erano “costretti” a vedere i film
in lingua originale e a leggersi i sottotitoli in francese.
A poco a poco le
persone hanno riacquisito il controllo del quartiere e hanno ricominciato a
uscire la sera.
Di conseguenza gli spacciatori si sono spostati altrove non
potendo più sfruttare gli angoli oscuri, spariti grazie alla nascita dei cinema.
Per me il cinema è luce, e la luce ci è servita a riportare la vita nel
quartiere.
L’idea del cinema come punto d’illuminazione è stata alla base del progetto
di un altro complesso MK2, vicino alla Biblioteca Nazionale: in mezzo alle due
torri costruite da Perrault c’era una vasta area disabitata e buia di circa 300
metri, che ho comprato proprio per “accenderci la luce” con le mie sale
cinematografiche.
Tornando al nostro intervento sul 19esimo
arrondissement, ho anche previsto l’esistenza di uno shuttle che portasse la
gente da un lato all’altro del canale, da un cinema all’altro.
Il fatto
positivo è che non sono solo gli spettatori ad usarlo, ma anche gli abitanti che
altrimenti dovrebbero camminare molto di più per passare sui ponti che sono
molto distanti l’uno dall’altro.
Il canale divideva in due il quartiere e lo
shuttle li riunisce.
Il nostro è stato un lavoro a lungo termine, ma alla
fine è nato un centro (con un negozio di dvd, una libreria, ristoranti”¦) attorno
al quale si raggruppa un vero e proprio cluster di eventi:la libreria organizza
spesso gite in battello sul canale con lettori e scrittori.
In pratica, si è
riusciti a rivitalizzare un quartiere partendo dal cinema. Questo processo di
ri-urbanizzazione, quindi, ha molto a che fare con il superamento di rigide
divisioni fra diverse discipline artistiche e culturali: se il cinema riesce a
integrarsi davvero nella società , la gente si riappropria pian piano delle
strade e dei quartieri.
Penso che sia possibile spingersi oltre, integrando
anche il sistema educativo e sanitario, o, per esempio, mettendo a disposizione,
all’interno dei cinema, avvocati che diano consulenze gratuite per tutti coloro
che non se le possono permettere.
Quello che ho in mente, insomma, è la
creazione di una sorta di moderna agorà , che abbia il cinema al suo
centro.
(a cura di Carolina Mancini)