L’associazione delle Film Commission italiane ha prontamente stigmatizzato l’accaduto, con un documento di denuncia e di protesta. Ma evidentemente non basta. Perché in altre regioni non succeda quello che è successo in Friuli, non varrebbe la pena di riflettere su quello che non ha funzionato e non funziona nel rapporto tra Film Commission e amministrazioni?
Friuli Venezia Giulia Film Commission non è una Fondazione indipendente ma un’associazione culturale, che ha rapporti di sola convenzione con l’amministrazione: la debolezza giuridica è il primo problema che vedo. L’insegnamento che ne traggo io, e che ho fatto presente all’interno dell’associazione,è che bisogna iniziare a porre la questione anche a livello centrale, affinché in un’eventuale e sempre più auspicabile legge di riordino complessivo del settore, il cinema e l’audiovisivo vengano inquadrati sotto la duplice veste nazionale e locale. E che sul piano locale il ruolo delle Film Commission venga riconosciuto come un ruolo non semplicemente sussidiario ma complementare a quello dello stato centrale.
Sottrarre le Film Commission alla esclusiva giurisdizione regionale potrebbe quindi essere la soluzione?
Se venissimo riconosciuti legislativamente come complementari, faremmo un gran passo in avanti, perché in questo modo nessun legislatore regionale potrebbe pensare di cancellare con un tratto di penna, in un blitz, nottetempo, una film commission solo perché il suo management ha osato dare un contributo ad
un film non gradito. E metterebbe a riparo l’industria nel suo complesso, perché di industria parliamo, cioè di posti di lavoro, di libertà degli autori. Insomma: di cose troppo più importanti delle motivazioni che può avere un assessore leghista.
Non crede che occorra anche una riflessione al vostro interno? Il marchio Film Commission non esprime forse realtà e competenze troppo disomogenee tra loro?
Intanto su questo ci sono degli elementi di garanzia che derivano dall’ associazione di categoria: chi si associa all’Italian Film Commission risponde ai criteri di qualità garantiti anche dallo standard internazionale, visto che il nostro statuto ricalca di fatto quello dell’EUFCN e di quello AFCI cioè dell’associazione mondiale delle film commission. Poi è chiaro che il mercato fa la sua selezione.
Però è anche vero che delle 19 film commission associate non tutte rispondono a standard qualitativi adeguati.
Il coordinamento composto da me (Apulia Film Commission), Davide Bracco (Piemonte Film Commission) e Anna Olivucci (Marche Film Commission), ha fra i punti chiari anche questo, e cioè di garantire che il sistema cresca dal punto di vista della qualità dei servizi e che si doti di una sorta di standard unico da erogare. A questo fine abbiamo organizzato per dicembre una iniziativa che ha lo scopo di formare gli staff di tutte le film commission al rispetto degli standard qualitativi.
Si tratta di “Italian Film Commission Training”, e si svolgerà a Torino dal 15 al 16 dicembre di quest’anno.
Tornando al caso Friuli, le competenze della Film Commission sono state trasferite ad un ufficio turistico della Regione. Anche questa possibilità andrebbe scongiurata?
Sì, e per questo immagino in un futuro non lontano una legge di riordino la cui ratio sia quella di incardinare le film commission sotto le attività culturali ed economiche degli enti territoriali che vogliono dotarsi di queste strutture, e che le Film Commission rispondano a dei requisiti standard che vengono individuati da un Centro Nazionale di Cinematografia. Io me la immagino così.
Altrimenti il rischio è che chiunque possa mettere su una film commission dall’oggi al domani, a danno prima di tutto dei i produttori.