di Adriana Marmiroli
Dati entusiastici si alternano a visioni catastrofiche, quando si parla di export della produzione audiovisiva italiana.
Che sia cinematografica o televisiva.
In questo caso i committenti, i due network che sostanzialmente da soli continuano a dividersi la gran parte della nostra torta televisiva (Rai e Mediaset) pensano al mercato interno e meno a quello internazionale, le serie “” mini, midi o maxi “” si “ripagano” pensando all’audience e alla prima serata, al massimo al numero di repliche, molto poco alla loro vendibilità su altri mercati.
Certo, non si “rinuncia”: ai mercati si va e il catalogo lo si espone.
Di tanto in tanto qualcosa pare muoversi, qualche produzione – quasi a sorpresa – incontra il gradimento di altri pubblici oltre confine e fa il botto (“La meglio gioventù”, “Montalbano”), ma non sembra ci sia alle spalle del prodotto una strategia, uno studio.
Se si escludono certe (poche) coproduzioni che hanno l’Italia (la Rai) come capoprogetto, le serie storico-biografiche su santi, imperatori e personaggi internazionalmente celebri (papi, artisti, sportivi), talvolta girate nella lingua dello show business, l’inglese, l’orizzonte appare poverino: anche se le cifre percentuali indicano un segno positivo per l’export, rispetto ad altri paesi europei non anglofoni (Francia, Germania) siamo ancora in alto mare.
Anche per questo si moltiplicano le occasioni per diffondere (quantomeno) la conoscenza delle “regole del mercato” in materia e, viceversa, della nostra produzione e delle nostre capacità produttive all’estero: è un po’ la funzione della Fondazione Rossellini, degli screenings e dei pitch-date che accompagnano sia il Festival del Cinema che quello della Fiction romani, figli non a caso di una stessa idea di comunicazione del prodotto italiano fuori dai patri confini.
Ma da solo non basta.
Le voci sono discordanti se a parlare sono i broadcast committenti o i produttori esecutori.
Sesto Cifola di Raitrade, che da almeno due decenni gira il mondo vendendo titoli della produzione Rai, è molto soddisfatto in questa vigilia di MipTv: mai come adesso si presenta “” sostiene in sostanza “” al mercato con prodotti interessanti e appetibili.
Continua a elogiare “Barbarossa”, che fuori dall’Italia si spoglia di ogni connotazione politica per essere visto per quello che realmente è: «un film di cappa & spada, pieno di effetti speciali e con grandi interpreti internazionali ».
Molto esportabili (tanto da essere già richiesti) titoli freschi di “stampa” come “La mia casa è piena di specchi” (su e con Sofia Loren) per cui martedì 13 a Cannes ci sarà l’anteprima, “Sant’Agostino” nuovo capitolo della serie “Imperium” con Alessandro Preziosi, “Le cose che restano”, sorta di sequel di “La meglio gioventù”, prodotto da Barbagallo e sceneggiato da Rulli e Petraglia come quello, diretto da Gianluca Maria Tavarelli, con Cortellesi, Santamaria e Fantastichini nel cast.
Luca Milano, che dalla posizione di responsabile marketing e animazione di RaiFiction, sovrintende alla produzione futura, è convinto che la nostra fiction abbia un passato prossimo importante (e cita “Pinocchio”, “Sissi”, “Guerra e pace”, “Coco Chanel”, “Sotto il cielo di Roma” su Pio XII negli anni del conflitto mondiale) e davanti a sé un bel futuro.
Ed enumera a questo proposito alcune serie oggi in pre-produzione per cui va (anche) al MipTv per trovare partner: un biopic su Tiberio Mitri, pugile e quasi campione del mondo negli anni 50 da fare con Cristaldi, il progetto “Caruso” prodotto da Ciao Ragazzi, la serie antologica sulla violenza alle donne sempre di Ciao Ragazzi (si parla di Margarethe von Trotta per una delle regie), i progetti allo studio con la rete pubblica francese da “La certosa di Parma” a “La figlia del capitano”, la serie poliziesca “Il segreto dell’acqua”, che Magnolia si appresta a realizzare a Palermo con Riccardo Scamarcio, “L’isola” che, girata tra Tunisia e Isola d’Elba e incentrata sempre sul lavoro della Guardia costiera, sostituirà “Gente di mare”.
«Crescono le coproduzioni europee generate dall’Italia che ci vedono in un ruolo importante “” spiega -. Noi per politica editoriale continuiamo a credere nelle miniserie da due serate, la cui produzione è invece crollata in altri paesi. Anche noi stiamo ampliando la gamma di titoli di lunga serialità , che pur senza arrivare al prime time (si continuano a preferire ovunque prodotti Usa o nazionali, ove ce ne siano), sono tuttavia molto graditi, anche per via dell’amore delle location italiane».
Di tutt’altro tono i produttori, schiacciati tra l’incudine dei costi e il martello del committente, che poi si prende merito ed opera e la commercializza in proprio: l’export è fermo anche per queste ragioni.
«Il paradosso italiano “” sostiene Carlo Degli Esposti, reattivo produttore fondatore di Palomar, coordinatore dei Tv Screenings romani, ex presidente Apt “” sta nel fatto che ai broadcast basta l’ascolto nazionale.
Se un produttore indipendente investe nella progettazione di una serie, di un format, rischia di non rientrare nelle spese: dal momento in cui il prodotto va in onda passa per sempre di proprietà , diventa del broadcast, che detiene quasi tutti i diritti di sfruttamento. Meglio quindi comprare un format sul mercato e limitarsi a localizzarlo. E’ l’anomalia italiana: rispetto all’Europa dove esiste una legislazione che tutela il produttore indipendente sulla titolarità dei diritti, da noi non esiste nulla di tutto ciò e si viene quindi espropriati del proprio lavoro».
E non è per una questione di capitali dati.
«Anche in Gran Bretagna è il broadcast che paga l’80 per cento della serie, ma chi lo realizza ne torna in possesso dopo un certo numero di passaggi e un tempo definito, 2-3 anni».
In questo modo da noi «il broadcast uccide il bambino appena nato e i suoi discendenti».
Non ci sono società che sono cresciute, che hanno per esempio fatto il passo del collocamento in borsa, come “” appunto “” in altri pesi d’Europa. Da noi il produttore indipendente ha sempre il fiato corto.
Non solo: con un colpo di mano la legge Romani sul product placement ha cancellato una norma che stava per diventare operativa a breve, quella sui diritti residuali per il produttore, che avrebbe dovuto entrare in vigore a partire dal gennaio 2010.
«Io per esempio sarei dovuto tornare in possesso di “Montalbano”, e invece”¦ Si è trattato di un colpo di mano degno di un regime del Terzo Mondo».
Unica possibilità allora è mettersi in contatto con buyers internazionali in fase preproduttiva, creare un rapporto diretto e vendere quindi i diritti prima che la loro titolarità passi al solo network nazionale.
«A Palomar abbiamo un rapporto consolidato con svedesi e spagnoli, mentre stiamo studiando nuove coproduzioni con Francia, Germania,Vietnam e India (con Fox India stiamo preparando un India-Napoli, 26 puntate da 50 minuti in fase di scritttura).
Di qui l’importanza degli screenings (per dimostrare le proprie qualità ) e dei pitch-date per parlare di progetti.
Ne è convinto anche Carlo Bixio, patron di Publispei: già in passato aveva parlato della sua convinzione che fare coproduzioni (il recente “Sissi” ne è la prova, lo studio su un “Grace Kelly” la conferma) e mettere in piedi serie lunghe “formattizzabili” (“Tutti pazzi per amore”) fosse un’ottima strada per sciogliersi dall’abbraccio soffocante delle reti.
Qualche ricetta, circa i contenuti?
Molto più difficile, al di là appunto della proposta di quei biopic per cui va giustamente famosa Rai, delle soap di lungo respiro (certo non da prima serata ma con un pubblico extraitaliano “Capri”, “Incantesimo”, “Agrodolce”, di cui è appena stata rifinanziata la seconda serie, finora in bilico), di certi polizieschi, altro genere di cui sono “golose” le reti sempre bisognose di riempire i palinsesti: oltre al solito “Montalbano” e a Terence Hill in versione “Don Matteo”, “Ris. Delitti imperfetti” di Taodue è esportato ad esempio molto bene, anche come format; bene “Coliandro” (la serie finisce qui, con le due puntate mandate in onda a marzo su Raidue, ufficiosamente perché Raidue non manderà più in onda, e quindi non “produrrà ” più, fiction nazionale), la serie antologica “Crimini”.
Elementi comuni e vincenti?
La qualità del prodotto.
La scrittura.
L’autorialità .
La location anche (basti riflettere un momento sul forte legame con il territorio che hanno alcune di queste serie).
«Il locale vince sul globale, soprattutto quando quest’ultimo scimmiotta una presunta internazionalità », sentenzia Degli Esposti, forte di un “Commissario Montalbano” che ha lanciato la Sicilia come meta turistica e di cui si prepara a girare altre 4 puntate a primavera.
Ma certamente una riflessione a lungo respiro su ciò che è esportabile è ancora tutta da fare.