direttore Paolo Di Maira

EMITA FRIGATO / Tuscia: la scoperta di un territorio-Chimera

É una trilogia dei luoghi quella che si conclude con La Chimera di Alice Rohrwacher: il film come anche il precedente Lazzaro Felice e Le Meraviglie sono tutti nella regione della bassa Maremma, alto Lazio, la Tuscia, il mondo degli etruschi. 

Il passato etrusco emerge proprio ne La Chimera, che ha valso a Emita Frigato l’Excellence Award dell’Accademia del Cinema europeo per la migliore Scenografia. L’abbiamo incontrata proprio a Berlino, alla vigilia della consegna del premio, e abbiamo scoperto che, anche se la motivazione parla delle “stanze e gli spazi contengono una realtà arricchita da tessuti, ciondoli e utensili da cucina, che non oscurano mai la storia, ma al contrario esaltano gli eventi e i personaggi che li vivono”, è altrettanto degno di nota il lavoro che Frigato ha realizzato in esterni.

Intervenendo proprio su quel territorio di cui le storie di Rohrwacher raccontano le tradizioni legate ai mestieri (quello dell’apicoltore in Le Meraviglie), la memoria di una civiltà contadina che sparisce assieme alla scomparsa della mezzadria (Lazzaro Felice), le scoperte di quello che dovrebbe rimanere invisibile e viene invece portato alla luce perché rubato (dai tombaroli de La Chimera).

“La Chimera” è prodotto da Tempesta, Ad Vitam, Amka Films Productions, Arte, Rai Cinema. Uscito nelle sale italiane il 23 novembre, è stato indicato fra i 6 film internazionali nel National Board of Review

“I ritrovamenti di questi tombaroli sono avvenuti in aree che erano già state depredate. A Civitavecchia, ad esempio, c’è questa centrale dell’Enel, che è stata costruita praticamente su una necropoli. E al suo interno ci sono delle terme romane: ecco perché alla fine questi tombaroli ci stanno simpatici, perché la violazione del territorio era già stata fatta, e per mano di ben altre autorità.”

La cisterna romana a Civitavecchia

Tutto il lavoro di Frigato è contraddistinto proprio da un grande rispetto per l’ambiente. Questo ha portato, ad esempio, alla decisione di ricostruire tutte le tombe, perché era particolarmente delicato pensare di girare all’interno di quelle reali.

Foto e schizzi per la realizzazione della baracca di Arthur (foto Emita Frigato)


Tutto è stato ricostruito dal vero: “la necropoli sulla spiaggia l’ho ricostruita sul posto. Un’altra tomba in un bosco, dove dovevamo fare vedere il processo di scavo che porta i tombaroli al suo interno: nella realtà sarebbe durato una settimana, invece la scena l’abbiamo girata in mezz’ora.”
Grazie ad un buco a più piani, che funzionava come una sorta di matrioska, realizzata con una struttura di scatole: “nella prima non c’è niente e cominciano a scavare, poi una seconda scatola con un tunnel scavato con tutta la terra intorno, le radici. Toglievo ogni piano per mostrare la discesa, finché siamo arrivati all’ultimo piano, dove c’era una piccola grotta: qui ho ricostruito la tomba.”
Queste scatole erano realizzate in baccalà: una cartapesta fatta con gesso e yuta che diventa dura come lo stoccafisso da cui prende il nome  e può essere trattata in qualsiasi modo. Un materiale che non inquina e può essere riciclato, secondo quello che Emita Frigato definisce il suo ‘dogma disciplinare’: “anche con Alice tentiamo sempre di lavorare con materiali che non siano impattanti per l’ambiente, come il polistirolo, o la resina.”

foto di tempesta

Nel film, inoltre, c’è un grandissimo santuario del IV secolo dove i tombaroli ritrovano una dea: “l’ho ricostruito all’interno di una cisterna romana  che era 10 metri x10: siamo entrati tutti, troupe compresa, dentro una porcina alta 140 cm per 60 cm di larghezza, portando con noi tutto il materiale. La cisterna si trovava dentro una caserma militare, che ho scoperto per caso, aprendo un vecchio Touring Club degli anni 40 dove è uscita l’immagine in bianco e nero di questa cisterna.”

Il santuario ricostruita nella cisterna dentro la caserma militare (Emita Fregato)

Un territorio misterioso e ricchissimo non solo nel sottosuolo, ma anche in ciò che è visibile a tutti ma che, in qualche modo, è tenuto nascosto dice Frigato: “La cosa incredibile è che ci sono luoghi veramente magici, ma nessuno li conosce, e non ci sono grandi indicazioni.”

E continua citando le moltissime locations sparse in questa terra di mezzo fra il Lazio e la Toscana, che il film ha raccontato: “sono riuscita a farmi anche 700 km in un giorno per controllare tutti i set: da Tarquinia a Blera, a Castel Giorgio, dove si trova la villa di Flora. Un posto che ci ha parlato e ci ha detto: sono io!  Totalmente autentica e decadente. Io ho solo accentuato questa decadenza creando una sorta di impalcatura di legno e costruendo un impianto per far piovere all’interno.”

E ancora, “Gallese a Viterbo, con la sua stazione abbandonata che nel film viene occupata da delle donne, il Monte Amiata, dove c’è una linea storica stupenda, che abbiamo riportato agli anni ’80. É a un solo binario, e attraversa tutto questo territorio con delle stazioncine dei primi del Novecento. Una linea orami in disuso, che sarebbe bellissimo far riscoprire.”

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