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direttore Paolo Di Maira

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EFP /Europe!Voices of Women in Film: l’intervento di Laura Samani

“All’origine del film c’è un’idea semplice, che viene dai veri pellegrinaggi che si facevano nella mia regione, il Friuli Venezia Giulia: esisteva un posto dove si potevano portare i neonati morti per ‘portarli indietro per un ultimo respiro’ ed essere battezzati, in modo che non finissero nel Limbo, come prevede la cultura cattolica, (o almeno prevedeva fino al 2007, quando il Papa ha dichiarato che il Limbo non esiste più).” Così Laura Samani, regista di Piccolo Corpo, David di Donatello come Migliore Opera Prima, racconta la genesi del suo film all’interno del panel Europe! Voices of Women in Film 2022, organizzato da European Film Promotional Sydney Film Festival, e moderato da Tamara Tatishvili, Strategy Consultant di EWA (l’associazione che riunisce le donne dell’audiovisivo europeo sostenendo la causa di un maggiore equilibrio di genere).

“Noi abbiamo deciso di raccontare questa storia dal punto di vista della madre, anche se, secondo quanto emerge dai documenti storici, normalmente questo pellegrinaggio era fatto dagli uomini, perché le donne erano quasi sempre a letto, a riprendersi dal parto. La motivazione che ha spinto me e i miei co-sceneggiatori (Elisa Dondi e Marco Borromei) però, in realtà non era politica, quanto piuttosto legata all’interesse per quelle che sono le ‘zone grigie’ della storia, ciò che resta fuori dalla cornice dei fatti conosciuti: ci sembrava che ci fosse spazio percorribile e siamo partiti da lì.

Inizialmente Agata (la protagonista del film, n.d.r.) viaggiava sola, ma il viaggio risultava piuttosto ‘noioso’, quindi abbiamo pensato a un ’buddy’ un compagno o una compagna che fosse la sua controparte: da qui nasce Lince, un personaggio fluido. Archetipicamente, se Agata è la madre, Lince è la parte maschile che c’è nel femminile”.

La necessità di raccontare ciò che resta nascosto nelle pieghe della storia, di identificarsi con personaggi femminili al cinema che non siano di supporto a protagonisti maschili, le difficoltà, anche, di combattere in fase di scrittura la misoginia che alberga anche dentro le registe che decidono di raccontare queste stesse storie: questi alcuni dei temi principali affrontati nel panel, in cui sono intervenute molte registe esordienti, come Tea Lindeburg (As in Heaven), Alina Grigore (Blue Moon), Tijana Zinajic (Eva), Lovisa Sirén (Maya Nilo).

Affronta direttamente la tematica dell’identità di genere e l’ossessività al femminile il documentario Loving Highsmith diretto Eva Vitija, mentre è popolato principalmente di maschi (“evitando ogni stereotipo”) l’universo dell’horor psicologico d’esordio  di Antonia Campbell-Hughes It’s in us all. Sono intervenute infine, Alli Haapasalo, regista finlandese di Girl Picturepassato al Sundance e Bianca Sitger, che ha diretto il  documentario Three Minutes – A Lengthening, l’anno passato alle Giornate degli Autori

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