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direttore Paolo Di Maira

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DANIELE VICARI/Generi letterari al cinema

di Anna Pomara


Il romanzo ha per protagonista Giorgio, un brillante studente di giurisprudenza, di famiglia alto-borghese che, ad un passo dalla laurea, sperimenta, guidato da Francesco, un mondo fino ad allora nemmeno mai sfiorato, fatto di gioco d’azzardo, droga, violenza.
Cosa ti ha convinto a farne un film?


In quel romanzo ho trovato una storia importante da raccontare.
La scoperta da parte di un giovane – Giorgio, appunto – del suo lato oscuro, quel lato che tutti noi, vivendo in una società  organizzata, tentiamo di rimuovere senza riuscirci mai fino in fondo.
Che è poi personificato da Francesco, il protagonista del libro.


Compari come sceneggiatore accanto a Massimo Gaudioso, all’autore del romanzo e al fratello di quest’ultimo, Francesco. Quale metodo di lavoro avete adottato?


Inizialmente è stata fatta una prima stesura da Massimo Gaudioso con Gianrico e Francesco Carofiglio.
Successivamente sono intervenuto io.


Si trattava di un soggetto?


No, era già  una bozza di sceneggiatura.
Si è partiti direttamente dal romanzo, senza ridurlo.


Cosa, del libro, avete ribadito o amplificato?
A cosa avete invece rinunciato?


Procedendo nella scrittura, sono state fatte delle scelte importanti.
Per esempio nel romanzo i protagonisti sono tre: Giorgio, Francesco e il tenente Chiti, ovvero colui che conduce le indagini sullo stupratore seriale.
La figura del tenente è venuta a cadere perché quello che a me interessava realmente era il percorso di Giorgio.
L’eliminazione dell’aspetto poliziesco ha fatto sì che il film diventasse un thriller psicologico.

Ho letto in una tua recente intervista che il personaggio di Giorgio ti ha riportato ai protagonisti dei grandi romanzi dell’Ottocento.
A chi hai pensato esattamente?
A me è venuta in mente una figura femminile: Madame Bovary”¦


Il richiamo immediato è stato a Evgenij Bazarov di “Padri e Figli” di Turgenev.
Il romanzo di Carofiglio contiene diversi elementi che mi fanno pensare a quella grande letteratura.
E questo perché racconta la storia di un personaggio in bilico tra due mondi, tra due epoche.
E i grandi romanzieri dell’Ottocento, mi riferisco in particolare ai francesi e ai russi, hanno raccontato queste figure sul viale del tramonto, che, incapaci di misurarsi con uno scenario nuovo e ampio, finiscono per perdersi.
Hai fatto bene a citare Madame Bovary. Lei è esattamente uno di questi personaggi.
Flaubert racconta di una donna che non ha bisogno di lavorare e uno dei tanti problemi dei giovani adulti della nostra società  è proprio questo: non hanno bisogno di lavorare per costruirsi una loro identità .
E quindi finiscono con l’attorcigliarsi in seno ai propri sentimenti.
Che è poi quello che succede a Madame Bovary.
Carofiglio, da autore post-moderno quale è, ha pescato inconsciamente dentro questo tipo di letteratura e ha tirato fuori un personaggio che nel libro secondo me è appena accennato, ma che va in questa direzione.
Io ho puntato su di lui, ho scelto quel percorso.


Il romanzo di Carofiglio, stando alla tua analisi, offre dunque diversi piani di lettura.


“Il passato è una terra straniera” si stacca da quelli che lo hanno preceduto.
Gli altri libri di Gianrico sono dei veri racconti di genere, dei “legal thriller”, fondati sulla figura di un avvocato alle prese con dei casi da risolvere.
Qui siamo di fronte ad un romanzo di formazione, alla storia di un ragazzo che fa un giro negli inferi e scopre se stesso.
Credo tuttavia che l’esplosione in Italia della letteratura di genere sia un fenomeno estremamente importante.
In particolare, trovo che il genere che si sta sviluppando dalle nostre parti abbia una forte impronta realistica: si parte da fatti di cronaca, spesso da situazioni accadute, e contemporaneamente si imbastiscono racconti che di quegli avvenimenti offrono una lettura storica.
Penso per esempio a De Cataldo.
Da ciò la produzione più recente sta traendo una nuova linfa.
La scrittura è purtroppo uno degli aspetti deboli della nostra cinematografia.
Tuttavia da questi racconti si possono trarre film con una loro forza narrativa, radicati allo stesso tempo nella contemporaneità .


Nei tuoi film i luoghi non sono mai dei semplici sfondi.
Piuttosto sono parte integrante dell’azione.
Contribuiscono a raccontarci il paesaggio interiore dei personaggi, gli danno forma, colore.
Sarà  così anche per “Il passato è una terra straniera”?


Sì, l’ambientazione anche qui è fondamentale.
E’ uno dei personaggi del film.
Un’ambientazione peraltro assai poco realistica: i luoghi sono quasi tutti ricostruiti.
I protagonisti entrano in mondi diversi e una volta fuori non rimangono immutati.
Nell’attraversarli Giorgio aggiunge nuovi tasselli alla coscienza che egli ha di se stesso.
La storia si muove tra l’Italia e la Spagna. Bari e Barcellona.


In che modo le hai rappresentate nel il tuo film?


All’inizio doveva essere Valencia, come nel romanzo.
Poi per ragioni produttive abbiamo scelto Barcellona, una città  che conosco bene e che come Valencia “” anche se in misura minore “” è uno dei luoghi dove la cocaina arriva e viene smerciata.
Mi è sembrato giusto che Giorgio e Francesco andassero a comprarla lì. Di Bari invece ho voluto dare l’immagine di una città  sull’orlo del baratro, molto stratificata socialmente.
I due protagonisti attraversano la città , partendo dall’alta borghesia fino ad arrivare ai bassifondi.
Quello di Giorgio è un vero viaggio nel ventre della città .
Una città  scura, notturna, che rimane comunque sempre riconoscibile.

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