Le film commission hanno recentemente svolto con coraggio il ruolo che erano chiamate ad interpretare: integrare i fondi nazionali e comunitari di sostegno alla produzione audiovisiva, stimolare la delocalizzazione delle riprese, sviluppare un sistema di aziende e professionalità equamente distribuito su tutto il territorio nazionale, semplificare le relazioni tra le produzioni e gli enti locali, rafforzare i brand regionali e sviluppare turismo di qualità.
Chi più chi meno, chi con maggiori risorse o management più incisivi, il loro sforzo è stato imponente e innegabilmente utile e indispensabile in un momento di congiuntura economica così grave per il paese.
Il risultato ottenuto è quello, di aver alzato prepotentemente l’aspettativa nei confronti del ruolo delle FC nel prossimo decennio, a fronte, però, di una decrescita di disponibilità economiche.
Quale soluzione, dunque, per far fronte a questa discrasia? La strada da percorrere punta a valorizzare al massimo l’expertise degli staff delle FC affinché ideino servizi innovativi alle produzioni e affinino i fondi in modo da rivolgerli a segmenti e fasi produttive più rischiose, ma potenzialmente più redditizie.
Non sarà più sufficiente, dunque, che una FC si occupi del disbrigo pratiche e permessi, del recruitment di personale e fornitori, di location scouting, studi di fattibilità, intermediazione istituzionale (e con privati) o che sostenga i costi di preparazione, lavorazione, post produzione delle opere filmiche: servizi e fondi dovranno evolversi rapidamente.
Dal punto di vista dei servizi, gli staff delle FC saranno sempre più chiamati a fornire supporto allo sviluppo delle opere e non più al semplice shooting. Dovranno essere in grado di compiere ricerche mirate per gli sceneggiatori, segnalare luoghi e personaggi per lo sviluppo di factual, lavorare sui piani e budget di sviluppo e offrire attività di supporto e intermediazione con player globali presso i mercati internazionali.
Dal punto di vista finanziario, nello specifico pugliese, il tessuto produttivo evidentemente cresciuto in questi anni, continua ad essere caratterizzato da piccole società che hanno difficoltà a fare investimenti in ricerca e sviluppo svincolati dai classici development fund comunitari, nazionali o regionali. La tempistica dei fondi nazionali e comunitari inoltre è molto lunga e poco si addice alle necessità del mercato.
In aggiunta la natura dei fondi, sempre dedicati ai progetti e non alle società, fa assumere a queste ultime nel tempo una forma più simile a quella di un bonsai che a quella di piante propriamente sviluppate. Diventa difficile per le imprese infatti assumere personale e mettere in piedi staff creativi o manageriali con competenze trasversali sui quali investire in termini di risorse umane.
Una evoluzione dei fondi di start-up o di consolidamento regionali e nazionali in direzione delle esigenze uniche dell’industria dell’audiovisivo è altamente auspicabile.
Queste attività insieme dovranno portare al consolidamento del comparto verso l’obiettivo comune di un’industria dell’intrattenimento italiana sana e appetibile per la finanza mondiale.
I primi passi da compiere in questa direzione implicano l’unificazione dei criteri regionali di sostegno alla produzione verso l’automatismo del contributo e del fondo a sportello; il consolidamento delle relazioni con camere di commercio e reti confindustriali; il sostengo alle aziende locali e professionisti che partecipino a mercati o workshop internazionali; l’imple- mentazione dei programmi di talent-scouting e, soprattutto, l’attivazione di programmi aggressivi che agevolino l’accesso al lavoro di nuovi soggetti, in collaborazione con istituti di formazione e associazioni di categoria.
Il resto dipenderà dall’esperienza finora accumulata, dal management e dai budget che l’Italia vorrà dedicare ad un settore imprenditoriale, come quello dell’audiovisivo, che in molti paesi del mondo è tra i primi per fatturato.