direttore Paolo Di Maira

DA ROMA A SORRENTO

Non è la crisi del settimo anno quella che ha determinato la spaccatura tra il Festival del Cinema di Roma e la stampa generalista italiana. Non lo è perché si tende a considerarla non la settima ma la prima edizione del neodirettore Marco Müller.
Eppure il “divorzio” ha origine dalla maldestra estromissione dalla presidenza della Fondazione Cinema per Roma di Gian Luigi Rondi, decano della critica cinematografica nazionale.
La distanza si è consumata con epiloghi a volte scomposti, cercando di supportare la bocciatura del festival con supposte critiche negative da parte della stampa internazionale.
Un esempio è il tormentone dei film premiati finanziati con i fondi della Regione Lazio: il fatto, si è letto sulla cronaca romana di Repubblica, è stato deplorato da The Hollywood Reporter. Chi legge l’articolo del trade magazine statunitense apprende che in realtà l’autore del pezzo cita la denuncia fatta da un “importante giornale nazionale”, come ulteriore conferma dell’atteggiamento ostile della stampa italiana nei confronti del festival di Müller. Insomma: l’esatto contrario. Distrazione? Forse, ma la “svista” è diventata verità, nel momento in cui è stata ripetuta (qualche altro quotidiano ha ripreso quel che era scritto su Repubblica).

E passiamo al Festival.
Uno dei dati che pesa è che il Festival Internazionale del Film di Roma ha perso pubblico. Si potrà dire che anche la trascorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia ha subito una flessione.
Ma il Festival di Roma è diverso, è finanziato dal territorio, e dialoga con il territorio attraverso il suo pubblico.
Prendendo in carico un evento nato come “Festa”, divenuto poi “Festival” ad opera di Rondi, Müller ha puntato alle anteprime mondiali dando maggiori opportunità al Mercato (ma contemporaneamente sono stati ridotti gli inviti ai buyers e le notti di ospitalità); ha aperto gli screenings del cinema Barberini anche al pubblico (ma l’iniziativa non è stata adeguatamente pubblicizzata); ha creato, con CinemaXXI, uno spazio di ricerca e sperimentazione (ma non sono stati attuati interventi efficaci sul pubblico giovanile).
Roma eccelle sicuramente per due caratteristiche: possiede la più alta concentrazione delle imprese audiovisive e la più alta concentrazione di popolazione studentesca in Italia.
Due “eccellenze” su cui probabilmente si può lavorare meglio.
Io penso che il Festival di Roma non debba guardare né a Venezia né a Torino, ma a Toronto, che ha saputo intrecciare il Festival con il Mercato con il tessuto della città.
Qualunque sia la direzione che voglia prendere, il Festival deve comunque misurarsi con un budget considerevole (dodici milioni di euro nella trascorsa edizione): in gioco non c’è semplicemente l’immagine di Marco Müller, ma il lavoro di molte persone, dentro e fuori il settore.
Non è retorico porre l’accento sul lavoro, in un momento in cui il suo valore sta tornando ai livelli di prima della rivoluzione industriale.
Alla vigilia delle Giornate Professionali di Cinema che il 3 dicembre si apriranno a Sorrento, salta agli occhi l’affanno delle associazioni di categoria alle prese con una crisi senza precedenti.
E’ passato un anno da quando furono annunciate iniziative promozionali.
Nel frattempo il cinema ha diminuito il suo pubblico, le sale chiudono.
Ci si arrangia localmente con iniziative elementari ma efficaci come gli sconti sui prezzi del biglietto: da “Firenze al cinema” che ha creato una rete di sale nel capoluogo toscano, alla tessera AIACE a Torino. Alcune amministrazioni comunali (Bologna e Roma) hanno ridotto l’aliquota IMU a cinema e teatri cittadini.
Ma si procede in ordine sparso, non si individua una strategia.

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