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direttore Paolo Di Maira

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CULTURA E MERCATO

Ha avuto larga eco e molte adesioni il “Manifesto per la cultura” pubblicato sulla “Domenica” del Sole24Ore del 19 febbraio scorso; e ogni nuova domenica la costola culturale del quotidiano di Confindustria s’arricchisce di nuove firme.  Chiaro l’assunto del manifesto: “La cultura e la ricerca innescano innovazione, e dunque creano occupazione e producono progresso e sviluppo”.
Pienamente condivisibile.
E’ difficile non condividere anche i punti programmatici che ne conseguono, per lo meno quelli molto generali (una costituente per la cultura; strategia di lungo periodo; cooperazione tra i ministeri; l’arte a scuola e la cultura scientifica). L’attenzione si ridesta quando il panorama si restringe al quinto e ultimo punto, “ Pubblico-privato, sgravi ed equità fiscale” sinteticamente così argomentato: “pratica e cultura del merito, intervento dei privati nel patrimonio per una cultura diffusa”.

Tra le tante autorevoli lettere di adesione mi soffermo su quella inviata dagli autori del settore audiovisivo e pubblicata l’11 marzo, dal titolo sconsolatamente programmatico: autori in cerca d’autore.

Colpito dall’inusuale editing del testo, trapuntato da parentesi che indicano i tagli, mi rendo conto, scorrendo la colonna ormai ridotta all’essenziale per poter probabilmente dare più spazio alle copiose firme di adesione, che la lettera non è rivolta tanto alla società civile quanto alla Rai, somigliando a una vertenza aziendale, più che a una dichiarazione d’intenti.

A dire la verità, andando con pazienza a leggermi il testo integrale all’indirizzo on line cui una nota a piede rimanda, la lettera citata la prende più alla larga, e c’è un bell’incipit (tagliato): “noi siamo quelli che scrivono e realizzano le storie che influenzano così profondamente l’immaginario collettivo degli italiani. Noi che con le nostre idee facciamo girare il volano della grande industria audiovisiva che fattura ogni anno più di 2,2 miliardi di euro. Noi che con i nostri film e le nostre fiction, i nostri documentari e i nostri cartoni animati, forniamo occasione di lavoro a 250 mila persone”.
Uno scatto d’orgoglio, che poi però si fiacca quando si individua nella Rai l’unico interlocutore in grado di guidare la politica culturale del paese, e si conclude con la richiesta di nuovi dirigenti a Viale Mazzini, sotto l’ala del governo Monti.  Eppure (nel testo integrale) si parla di quali storie raccontare al Paese, di come porre fine alla corsa alla delocalizzazione, l’orizzonte si allarga anche alle altre emittenti televisive; insomma: il respiro appare più ampio, prima di stringersi sul finale.
Non credo che i 250 mila lavoratori dello spettacolo ritengano che il loro futuro dipenda semplicemente dalla “governance” della RAI.

Riaffiora, in questa lettera, l’ansia storica dell’intellettuale “spaesato”, sempre alla ricerca di un “principe”.

Quel che si fa sempre più fatica a rintracciare è, in questo scenario angusto, il mercato.
Il mercato come lo concepiva l’economista liberale Luigi Einaudi: come luogo dove s’incontrano molti venditori e molti compratori desiderosi di acquistare o di vendere una o più merci o servizi. Il “molti” – secondo l’economista – è una condizione essenziale del mercato: se il “luogo” è abitato da monopolisti, lo scambio si distorce, la libertà di scelta diminuisce.

 

PAOLO DI MAIRA

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