di Marcello Mustilli
Sempre più di frequente, all’estero come in Italia, si sente parlare di produzione e distribuzione “dal basso”.
Il fenomeno, dapprima di nicchia, sta acquisendo una crescente consistenza: si moltiplicano le piattaforme web ad esso dedicate (in Europa ricordiamo ad esempio la francese Touscoprod, che dal suo lancio nel 2009 ha già sostenuto la realizzazione di 35 pellicole e raccolto oltre 650.000 euro di fondi, o le italiane Produzioni dal Basso e Cineama), alcune delle quali ormai consolidate (sopra tutte a livello globale probabilmente la IndieGoGo, che ha supportato ad oggi oltre 45.000 progetti -non solo audiovisivi- in 204 paesi del mondo, tra cui “The Real Social Network” dedicato alla rivoluzione in Tunisia), e aumenta il numero dei progetti audiovisivi prodotti e/o distribuiti (solo o anche) con l’ausilio di tali pratiche.
Analizzando le regole di funzionamento delle piattaforme di crowdfunding/crowdsourcing esistenti ed i progetti ad oggi realizzati, può tentarsi un primo inquadramento delle pratiche in questione.
In generale, per “crowdfunding” si intende una raccolta di fondi destinati a finanziare un progetto, operata tipicamente attraverso una piattaforma web, presso una comunità indeterminata di persone.
Sulla piattaforma web sono di solito pubblicizzati una descrizione del progetto, l’importo minimo che ci si prefigge di raccogliere, la data di conclusione della raccolta e l’ammontare minimo dei contributi da versare; in quasi tutti i casi, le somme raccolte vengono effettivamente incassate e devolute al produttore promotore del progetto solo ove venga raggiunto un importo minimo prefissato, altrimenti vengono restituite ai contributori.
Alcune realtà prevedono poi che gli utenti possano sostenere un progetto non già , o non soltanto, mediante contributi in denaro, ma anche conferendo beni o attività : quest’ultima ipotesi, articolata e disciplinata in modi diversi a seconda delle tipologie di beni/servizi conferite (es. opere letterarie, sceneggiature, etc.), è identificata con il nome di “crowdsourcing”.
Un recente esempio di crowdsourcing piuttosto noto è il documentario “People vs. George Lucas”, che tratta del rapporto di amore/odio tra i fans di George Lucas e quest’ultimo, realizzato montando numerosi video realizzati e inviati dagli utenti.
Quanto sopra detto attiene al versante del finanziamento della produzione; ma, anche sul versante del marketing e della distribuzione, le esperienze “dal basso” prendono piede.
La pratica delle cosiddette “proiezioni a richiesta” “” organizzate cioè in seguito a richieste inoltrate, tramite la piattaforma “crowd”, dagli utenti – appare in tale ambito degna di nota, in quanto potenzialmente in grado di completare la distribuzione tradizionale prolungandone la “finestra” ed estendendola a territori dove essa non sarebbe sostenibile commercialmente.
Tale pratica, in Italia sino ad oggi utilizzata solo per alcuni film documentaristici e cortometraggi (per sopperire alla mancanza di una vera distribuzione sala), nell’anno in corso è stata sperimentata per il lungometraggio “Una Separazione”, in seguito ad un accordo siglato dalla Sacher Distribuzione con la piattaforma Cineama in collaborazione con Telecom Working Capital.
Talvolta pratiche di produzione e distribuzione dal basso sono usate in combinazione tra loro, come ad esempio avvenuto per il film “The Tunnel”, finanziato tramite crowdfunding (pre-vendendo, a un dollaro ciascuno, i 135.000 frame che compongono il film) e distribuito sia dalla Paramount nel circuito tradizionale, sia (contemporaneamente all’Home Video) tramite Torrent.
Un altro elemento ricorrente infine è la tendenza di molte piattaforme “crowd” ad incoraggiare (talvolta imponendola entro certi termini) l’adozione da parte degli utenti delle licenze Creative Commons riguardo i materiali diffusi sulla piattaforma.
Dal punto di vista legale, in tutti i casi esaminati le condizioni generali che gli utenti devono accettare per poter utilizzare la piattaforma sollevano quest’ultima da qualsiasi responsabilità relativa alla gestione e al completamento del progetto o all’effettiva destinazione dei contributi raccolti.
Invero, nell’eventualità di procedimenti giudiziali specie se con risvolti penali, difficilmente clausole di tale ampiezza risulterebbero sufficienti a tenere al riparo la piattaforma da ogni responsabilità laddove fosse provato un suo dolo o una colpa grave.
Occorre comunque osservare, in generale, la tendenza delle piattaforme a porsi non già quale intermediario di un finanziamento in danaro o “in kind”, bensì come mero gestore di un servizio tecnico “” fornito “as it is”, da un lato ai promotori (in alcuni casi a fronte di una modesta provvigione), dall’altro ai sostenitori (gratuitamente) “” la quale, unita alla modesta entità dei contributi, rende piuttosto remota l’eventualità di contenziosi; e difatti di tali contenziosi, così come di seri abusi, non si ha ad oggi notizia.
Normalmente ai sostenitori, a fronte dei contributi concessi, sono offerti “vantaggi” di modesta entità “” quali ringraziamenti nei titoli del film, inviti ad anteprime o visione gratuita del film “” ma nessun diritto sul film né alcuna prospettiva di recupero dei contributi versati.
Alla luce di ciò appare difficile ravvisare una vera e propria corrispettività tra i vantaggi ricevuti dal sostenitore ed i contributi da questi concessi. Nella maggior parte dei casi i contributi saranno qualificabili come donazioni di modico valore.
Solo in pochi casi (ad esempio Cineama) si prevede l’eventualità che, per apporti economici individuali di maggiore entità , al sostenitore possa essere concessa una partecipazione agli utili del film.
Evidentemente, più cresce l’ammontare individuale del contributo, più ci si allontana dall’ambito naturale del fenomeno “crowd”, e si renderà necessaria una contrattualizzazione più dettagliata.