direttore Paolo Di Maira

Cresto Dina: giusto finanziare i progetti che esprimono l’identità italiana

I fondi e le istituzioni pubbliche che finanziano l’audiovisivo dovrebbero supportare le società di produzione invece dei singoli film: questa è la risposta di Carlo Cresto Dina, fondatore di Tempesta, alla domanda The Audience Isn’t Waiting—Are We Ready to Change? panel all’interno del quale  il fondo regionale svedese Film i Väst ha presentato al Marché du Film di Cannes, il suo Audience Report appena pubblicato e basato su 16 interviste con esperti dell’industria in Europa: produttori, distributori, audience designer, esercenti (fra questi anche Greta Nordio, audience designer e collaboratrice del TorinoFilmLab).

I film rischiano di sparire perché il sistema non supporta il loro percorso verso il pubblico, non perché non hanno valore in sé. E c’è uno sbilanciamento fra la produzione e le altre maglie della catena del valore: non solo dal punto di vista finanziario ma strutturale culturale.

Questo il punto di partenza, su cui Film i Väst ha chiesto a Cannes una riflessione da parte di Cresto Dina, di Malene Blenkov Head of Fiction al Danish Film Instiitute, e di Vicki Brown, Senior Sales & Distribution Executive del British Film Institute.

“Un film diventa rilevante quando il pubblico entra in connessione con esso: cioè lo raccontano, fanno proprio, lo modificano in qualche modo. Dunque per me la questione cruciale per quanto riguarda l’investimento pubblico in questo momento di grandi cambiamenti, non sta tanto nel misurare il coinvolgimento degli spettatori in termini numerici: non dovremo chiederci solo quante persone interagiscono con il film, ma dove e come questa interazione ha creato valore, e qual è questo valore che abbiamo in mente. 

Lo scopo dell’investimento pubblico è il bene comune: ecco perché misurare semplicemente l’audience non è abbastanza. Non siamo madri che rincorrono i figlioletti per imboccarli quando non vogliono mangiare, dobbiamo scuotere il pubblico, espandere il suo sguardo, mostrargli cose che non sa che amerà. Questa è la vera sfida: proviamo a guardare all’audiovisivo come un ecosistema, che è sano nella misura in cui ha la capacità di sopravvivere e rinnovarsi attraverso la biodiversità, l’abilità di generare soluzioni molteplici per ogni sfida. Se il numero di proposte creative diminuisce, si indeboliscono anche le probabilità di risolvere i problemi, e penso che sia proprio questo che sta accadendo attorno a noi. L’ecosistema della narrazione ha visto la crescita di attori con posizione dominante. La pervasiva presenza di piattaforme e investitori genera una concentrazione di potere decisionale. Sempre meno persone decidono quali storie si raccontano, come e a chi farle raccontare. Dunque è necessario proteggere gli attivatori di biodiversità, che sono i produttori indipendenti.

L’audience è in movimento, è frammentato, è una coltura difficile, per questo proviamo a diversificare la soluzione. E a moltiplicarla. 

Per me l’unica soluzione sarebbe quella di trovare una via per supportare non tanto i progetti, quanto le società di produzione e creare opportunità a lungo termine. Questo sarebbe anche un modo di produrre meno film, e film migliori: perché le società non dovrebbero produrre continuamente per sopravvivere. Se lasciamo che siano le grandi società a decidere avremo molte belle piantagioni, che producono alla stagione giusta, frutti della grandezza giusta, ma non avremo le foreste. E le storie, l’anima del nostro business, nascono nelle foreste, non nelle piantagioni.”

Non è d’accordo Malene Blenkov, già produttrice (fra gli altri di The Girl with the Needle) che però dice: “trovo la proposta di Carlo così sbagliata da essere quasi interessante. Io credo che non dovremmo finanziare il business, quindi le società, ma l’arte, dunque i singoli film. E poi come decidere quali società? E quelle che restano fuori? E’ però vero che la nostra situazione in Danimarca è speculare a quella italiana, noi produciamo molti pochi film.”

A Tomas Eskilsson, head of of Film i Väst Analysis, che gli fa notare che finanziare le singole imprese aumenterebbe la percentuale di film che non funzionano, Cresto Dina risponde: “il rischio fa sempre parte del gioco: devi baciare molte rane prima di trovare il principe! E poi sarebbe necessario anche definire in cosa consiste il fallimento, perché in un investimento ci sono molti fattori: magari un film non va bene finanziariamente ma la sua lavorazione contribuisce a far crescere l’industria e a formare professionisti.”

Al centro del ragionamento del produttore italiano, scopritore di talenti quali Alice Rohrwacher, Leonardo DI Costanzo e recentemente Margherita Vicario, c’è l’individuazione di una mancanza: di quella che è la ‘missione’ del pubblico:

“Cosa vogliamo ottenere quando finanziamo un film con denaro pubblico? Un buon film non è abbastanza. Il ‘pubblico’ dovrebbe imporre delle condizioni al suo supporto: ad esempio quelle di rendere l’industria più paritaria in termini di genere, di sostenibilità, e così via.”

E, a margine della conferenza, Cresto Dina spiega a Cinema&Video International:

“I finanziamenti europei sul cinema si stanno spostando sempre più verso l’automaticità, lo stato sta abdicando al suo ruolo che è quello di definire cosa viene finanziato, proprio perché prende i soldi dai cittadini. Io ad esempio, sono a favore di sostenere progetti che esprimano l’identità italiana, nonostante politicamente sia agli antipodi rispetto al governo. Perché non fare un ragionamento su cos’è l’identità italiana? Francesco Baracca, Enrico Toti? Paola Egonu è identità italiana? Per me sì, ne sono molto orgoglioso! Il fatto che abbiano di nuovo spostato un po’ di denaro sui selettivi, lo trovo giusto contrariamente a tanti miei colleghi, .”

Articoli collegati

- Sponsor - spot_img

FESTIVAL - MARKET

- sponsor -spot_img

INDUSTRY

LOCATION

Newsletter