All’interno di un andamento sostanzialmente stabile della produzione cinematografica italiana nel 2012, è raddoppiato, rispetto all’anno precedente, l’apporto di capitale da parte degli investitori esterni al settore: è questa una delle notizie generate dalla presentazione dei dati sul cinema italiano nel 2012 ad opera di MiBAC e ANICA lo scorso 16 aprile a Roma.
Sotto l’influenza del luogo della conferenza stampa – la Biblioteca che fu dei Gesuiti, nella sede del MiBAC in via del Collegio Romano – si parte dalle cose positive.
Infatti, dei 337 milioni ( + 1% rispetto al 2011) investiti nella produzione di film di nazionalità italiana, l’apporto degli investitori esterni per il quale è stato richiesto il tax credit è balzato dai 25,05 milioni di euro del 2011 ai 50,77 del 2012: più che raddoppiato. E sui 129 film al 100% italiani sono 79 quelli per i quali è stato richiesto il tax credit (61%),mentre, altro fatto importante, grazie al tax credit negli ultimi 4 anni le produzioni straniere hanno investito in Italia 84 milioni di euro. A sfatare un luogo comune duro a morire, l’anno 2013 ha visto un ulteriore ridimensionamento della quota di denaro statale ( contributi a film d’Interesse Culturale e Opere Prime e Seconde) sul totale del capitale investito: 24,4 milioni nel 2012 ( 7%) contro i 28,8 del 2011 ( 8%).
La notizia buona è che il dispositivo del tax credit, “è stato un volano che ha portato allo sviluppo di un’industria sana che ha generato valore dal punto di vista economico e occupazionale non solo per il settore, ma anche per le casse dell’erario”: lo si legge nel comunicato ufficiale, che cita una ricerca ANICA/LUIS secondo cui per ogni euro di agevolazione fiscale si genera per lo stato italiano un gettito fiscale di 1,5 euro.
Come nelle barzellette la notizia cattiva è che il tax credit si avvia a scadenza nel dicembre di quest’anno.
Dare le responsabilità alla “politica”, come ha fatto il presidente dei produttori Angelo Barbagallo durante la presentazione dei dati, è forse inesatto perché – paradosso nel paradosso – stavolta l’inadempienza è stata del cosiddetto governo “tecnico”. Prevedere ( è stata espressa “speranza”) che a un certo punto dell’anno ci sarà un ravvedimento del governo di turno, potrebbe limitare ma non eliminare il danno: i tempi di preparazione di un film durano anni (un anno e mezzo ha stimato Barbagallo, tempo che si dilata nel caso di produzioni straniere).
E qui va trovata la ragione per cui “abbiamo già perso due importanti produzioni internazionali”, ha avvertito Nicola Borrelli, Direttore Generale per il Cinema del MiBAC nell’illustrare i dati del rapporto annuale.
Si perdono i prodotti hollywodiani, ma aumentano i film low budget. Se il costo medio di un film italiano è stato nel 2012 di 1,99 milioni di euro, sul totale dei 129 film al 100% italiani, 36 non superano la soglia dei 200 mila euro, e 25 non vanno oltre gli 800 mila euro. Sulle classi di costo inferiori è confluita quasi la metà dei contributi del FUS ( sono 37 i film che hanno beneficiato del contributo per Opere Prime e Seconde contro i 26 del 2011) a scapito dei contributi ai film d’Interesse Culturale ( 19 contro 22).
In cifre, 12,800 milioni l’ammontare del contributo IC contro gli 11,600 milioni del contributo OPS.
La giustificazione di Nicola Borrelli secondo cui “la logica dell’intervento statale è diversa” privilegiando prodotti che hanno difficoltà a entrare nel mercato, non ha convinto Angelo Barbagallo ( “ Si dà troppo poco a troppi film, la polverizzazione dei contributi pubblici rischia di renderne inefficace l’intervento” ), e nemmeno il presidente dell’ANICA Riccardo Tozzi, secondo cui l’aumento del “fenomeno della frammentazione”, su cui pesa anche il drastico ridimensionamento degli investimenti nel cinema da parte delle televisioni , porta alla tendenza del “piccolo e brutto”.