direttore Paolo Di Maira

CANNES/Reality, Favola Napoletana

Piana del Vesuvio, esterno giorno. Dalla visione d’insieme dall’alto, la macchina da presa passa ad inquadrare una strada, scoprendo una carrozza settecentesca con tanto di paggetti che entra nel piazzale di una villa. Siamo al Grand Hotel La Sonrisa di Sant’Antonio Abate, in provincia di Napoli.  Difficile immaginare un luogo più kitsch e ridondante.
Matteo Garrone
l’ha scelto per ambientarvi la prima sequenza del suo “Reality”, unico italiano in gara al 65° Festival di Cannes, destinato a passare al vaglio della giuria internazionale presieduta da Nanni Moretti a fianco di autori come Anderson, Loach, Haneke, Cronenberg, Resnais e Kiarostami.
È l’incipit della storia. Al ricevimento del matrimonio che apre il film prodotto da Archimede-Fandango e la francese Le Pacte- Garance Capital con Rai Cinema (vendite internazionali Fandango Portobello), Luciano (Aniello Arena) – pescivendolo napoletano che ‘arrotonda’ i suoi scarsi guadagni con piccole truffe – incontrerà il personaggio reso famoso dal “Grande Fratello” che cambierà il suo destino.
“Dopo la festa, il rientro nella casa fatiscente della famigli “allargata” del protagonista segnerà il passaggio dalla favola alla realtà, con la durezza delle scale a chiocciola che si salgono a fatica, i muri scostati e l’umanità ‘sfasciata’, decadente.  In un movimento tra la dimensione fiabesca e quella realistica che sarà tratto distintivo dell’intero film”, commenta Gennaro Aquino, location manager della pellicola, come del precedente “Gomorra”.
Location della casa di Luciano, Villa Pignatelli di Montecalvo, fra San Giorgio a Cremano e Portici. È lì che si svolgerà gran parte della storia, insieme all’ambientazione del mercato dove il protagonista ha il suo banco del pesce. Per trovarla, Aquino ha visitato oltre duecento ville vesuviane settecentesche, le antiche dimore nobiliari sorte intorno alla residenza
reale di Portici e divenute col tempo condomini popolari, ‘scoprendo’ nel quartiere Barra di Napoli Villa Pignatelli di Monteleone, “un posto incredibile dove vivono moltissime famiglie e sono nate spontaneamente tante piccole case strette l’una all’altra. Un vero microcosmo che parla di povertà, disoccupazione, decadenza e stratificazione”.
Nel grande cortile a pianta circolare della villa è stato costruito l’ambiente dove Luciano lavora insieme al socio Michele (il comico napoletano Nando Paone), con i negozi, le botteghe e gli ambulanti.
“L’idea è stata quella di prendere la corte del palazzo – spazio poco frequentato e senza vita, nonostante l’affaccio delle finestre e la presenza dei garage – e trasformarla”, racconta Paolo Bonfini, scenografo storico del regista, fin dai tempi di “Estate Romana”, “rendendo il mercato, luogo dove tutto accade, un vero personaggio”.
Sul quel set la produzione, supportata dalla Film Commission Regione Campania– che ha seguito passo dopo passo la lunga preparazione del film, ambientato in massima parte nell’area vesuviana e a Napoli, in location come la Chiesa dei SS Marcellino e Festo, il parco acquatico Ditellandia, lo storico mercato ittico e il centro Commerciale Vulcano Buono – è rimasta tre mesi, data la consuetudine di Garrone di girare ‘in sequenza’.
“Con non poche difficoltà”, sottolinea Gennaro Aquino, “dettate prima di tutto dalla difficile convivenza con la popolazione, specie quando è apparso chiaro che dalla nostra permanenza lì sipotesse guadagnare qualcosa. Abbiamo cercato di accontentare tutti, coinvolgendo il maggior numero possibile di persone come manovali
e comparse. Quasi tutti i volti che si vedono nel film, sono del posto. Certo, dopo l’esperienza di “Gomorra” eravamo assolutamente rodati”.
Al centro dell’emiciclo, il grande Cristo in pietra dalle braccia aperte è solo una delle moltissime icone religiose di cui è disseminato il film, debordante di Madonne, santi, statuine e santini.
“Quella religiosa”, spiega Paolo Bonfini, “è stata una delle direzioni suggeriteci fin dall’inizio da Garrone. Insieme alle suggestioni delle animazioni della Disney-Pixar. Con Matteo si parte sempre da un’atmosfera da rincorrere, per poi trascenderla. Così ci siamo calati in una realtà da far divenire irreale attraverso i colori. Come abbiamo fatto collocando il Cristo nella corte del mercato e colorandolo di toni sgargianti, tanto da far diventare la piazza una specie di torta. L’accezione da cartone animato è percepibile nei caratteri, nei luoghi e nei costumi. La famiglia del protagonista è grassa, colorata, ‘ipertruccata’. Questa dimensione è stata riportata nella scenografia del film. Del resto a me piace sempre alterare la realtà, creare degli ambienti surreali che siano allo stesso tempo credibili. Non facciamo documentari”.
Dai toni accesi della prima parte della pellicola, le atmosfere vanno progressivamente incupendosi, seguendo lo sviluppo
della storia che vira in una direzione nuova, con il mutare della percezione del reale da parte del protagonista. Comincia così il delirio di Luciano, convinto di essere spiato dal “Grande Fratello” dopo aver partecipato ad
un provino a Cinecittà. È qui, nel vero set del reality su cui Bonfini è intervenuto con le sue scenografie (tra i pochi set romani, insieme agliesterni che seguono la processione del venerdì santo fino al Colosseo), che nasce – e si consumerà
alla fine – la sua ossessione.  In una follia graduale che lo porterà a perdere il contatto con la realtà.
“Da quel momento”, racconta Gennaro Aquino, “tutto sarà visto con altri occhi: le signore che comprano il pesce al mercato, quelleche lo osservano al cimitero di Poggioreale in una bellissima sequenza ambientata nell’Ipogeo comunale, una costruzione assurda cinta da una muraglia con dentro sepolture povere e ai piani superiori lunghi corridoi bui con le nicchie. Un luogo cupo, quasi metafisico. Forse è per questo che, a fianco della commedia italiana anni ’50 e ’60, con i film tratti da Eduardo o quelli di De Sica di ambientazione napoletana, altra fonte di ispirazione è stata “L’inquilino del
terzo piano”, la cui costruzione narrativa procede nella stessa direzione di una progressiva fuga dal reale”.
Come nella pellicola di Polanski, “la mutazione del protagonista non è percepibile a livello visivo, ma interiore”, conclude Paolo Bonfini.
“Non serviva una trasformazione nella percezione del reale, perché stavamo già in una dimensione surreale, senza per questo sfiorare mai la macchietta. Abbiamo manipolato molto, ma sempre in modo invisibile.
“Reality” ti cattura e ti porta sopra ad una linea, dove rimani fino alla fine.
Difficile definire questo film: è a metà tra lo psicodramma e la commedia”.
L’importanza dei luoghi nel film conferisce – infine – un ruolo importante alla Film Commission Regione Campania, che oltre alla ricerca dei luoghi e ai servizi di routine, ha fornito una costante assistenza, facendo da cerniera tra produzione
e territorio, cosa preziosa in un’area particolare come quella campana. “ Non poter offrire sostegni economici in un momento in cui molte regioni si sono attrezzate con i Fondi – commenta il direttore Maurizio Gemma– rende indubbiamente la nostra regione meno attrattiva. Eppure, non va sottovalutato un lavoro come quello fatto su “Reality”, che è oscuro ma molto utile, perché ottimizzando tempi e costi, finisce anch’esso per diventare un sostegno
economico, anche se indiretto”.

 

DOVE GUARDA IL CRISTO
Due immagini della piazza del mercato prima e dopo le riprese.
La produzione ha fatto qualche lavoro di “manutenzione” nella piazza, come asfaltare il cortile o asportare le palme malate che altrimenti non sarebbero mai state mosse, pur pericolanti. Racconta Aquino: “Al centro dell’emiciclo, Paolo Bonfini ha voluto mettere un enorme Cristo con le braccia aperte, alto quattro metri, di quelli molto in voga da queste parti. Che lì è rimasto. L’hanno voluto. E la Soprintendenza, che vincola questi luoghi, ha chiuso un occhio. Ricordo che il giorno in cui è arrivato il Cristo, bisognava decidere in che posizione collocarlo (se aperto verso l’interno o l’esterno del palazzo) e c’erano circa 300 persone affacciate ai balconi che seguivano l’operazione, applaudendo o
meno a seconda del gradimento. Alla fine decidemmo di metterlo girato verso l’interno, con la promessa scritta di rigirarlo a fine riprese”.

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