Lo sguardo sornione e rapace di Marcello Mastroianni sul manifesto ufficiale del Festival rischiava di essere l’unica grande presenza italiana a Cannes quest’anno. Tanti film papabili (fra cui quelli di Martone, Olmi, Moretti) non erano pronti.
Per altri si parla addirittura dell’anno prossimo. E’ il caso, per esempio, di “The Tale of Tales” di Matteo Garrone.
Le riprese di quel che si preannuncia un progetto impegnativo, con tempi lunghi di lavorazione, inizieranno in Toscana proprio durante l’edizione 2014 del Festival.
Invece è arrivata una bella sorpresa su cui pochi avrebbero scommesso: Alice Rohrwacher in concorso con “Le meraviglie”. Al suo secondo film narrativo dopo gli esordi nel documentario, la regista dell’originale, volutamente scomodo “Corpo celeste” (presentato nella Quinzaine nel 2011) scava ancora nelle sue memorie adolescenziali, questa volta con un taglio più autobiografico.
Infatti, Rohrwacher ambienta la storia della tredicenne Gelsomina (Maria Alexandra Lungucon) nelle stesse location toscane che lei bazzicava da ragazza (Sovana, Sorano, Bagni San Filippo) e dà alla sua protagonista un padre tedesco apicoltore, proprio come il suo.
Oltre ad un cameo di Monica Bellucci, la ‘fata bianca’ di un reality show televisivo chiamato, appunto, ‘Il paese delle meraviglie’, il cast principale è completato dalla sorella di Alice, Alba Rohrwacher, e dal danzatore belga Sam Louwyck. Interpretano la madre e il padre di una famiglia che doveva vivere una specie di utopia agraria, ma che sitrova alle prese con difficoltà economiche e lavori massacranti.
Il direttore del Festival, Thierry Frémaux, è noto per la sua opposizione ideologica alle quote rose. Dunque prendiamo la scelta del film di Rohrwacher per il concorso e di “Incompresa” di Asia Argento (altro film di forte matrice autobiografica) per la sezione parallela Un certain régard come un bel riconoscimento della scalata femminile del cinema italiano.
E glissiamo sul fatto che si tratta anche di una felice congiunzione astrale, visto che i tanti pesi massimi maschili italiani cari alla Croisette si presentavano in ritardo per l’appuntamento.
Ma gli ‘old white men’ di altre nazioni non mancano a Cannes 2014. Primo fra tutti Jean- Luc Godard (“che, è ancora vivo?” ha chiesto mia moglie quando l’ho nominato), con il suo “Adieu au langage”. A fianco del padrino della Nouvelle vague, in concorso con un’opera che (almeno a giudicare dal trailer) si profila il film 3D più ermetico e autoriale mai fatto, si schiera uno stuolo di altri ultrasessantenni come David Cronenberg, i fratelli Dardenne, il duo inglese Mike Leigh e Ken Loach (in concorso insieme per la seconda volta) e l’attore-regista americano Tommy Lee Jones.
Un’altra congiunzione astrale vede il Canada trionfare 3 a 2 sugli Stati Uniti quest’anno per numero di film in concorso; oltre a Cronenberg, c’è Atom Egoyan con il giallo “Captives” e l’enfant prodige del cinema canadese francofono, il 25enne Xavier Dolan, che dopo “Tom à la Ferme” in concorso a Venezia solo otto mesi fa entra in gara a Cannes con il suo quinto lungometraggio, “Mommy”.
A riparare il torto della scelta di programmare “L’Artista” fuori concorso al suo debutto a Cannes nel 2011 (fu spostato in concorso una settimana prima dell’inizio della kermesse), il regista Michael Haznavicius entra di diritto quest’anno con “The Search”, remake di un film di Fred Zinneman del 1948, la cui trama post-olocausto è stata aggiornata per raccontare una storia che scaturisce dall’amicizia fra una donna che lavora per un Ong in Chechnya e un bambino locale.
Bérénice Bejo, la moglie e musa del regista, è di nuovo protagonista.
In questa 67esima edizione del festival la presenza dell’Africa si annuncia meno simbolica del solito. A cancellare la memoria del deludente “Grisgris” dell’anno scorso ci penserà il grande regista malese, Abderrahmane Sissako, il cui “Timbuktu” è basato sulla storia vera della lapidazione di una coppia non sposata in una regione settentrionale del paese durante l’occupazione islamista.
Sissako si erge fra i favoriti della vigilia insieme a Damian Szifron, giovane regista argentino che finora ha fatto poco per accelerare il batticuore critico; anzi, è pressoché sconosciuto al di fuori del suo paese natale. Ma Frémaux, che non si dà normalmente all’iperbole, ha definito “RelatosSelvajes”, “un film incredibile”, e la produzione argentina-spagnola sfoggia la firma dei fratelli Almodovar.
Fra gli altri film che potrebbero stuzzicare la giuria presieduta dalla regista australiana Jane Campion ci saranno due opere di auteurs entrambi con un piede in Europa e uno in Asia: “Leviathan” del russo Andrey Zvyagintsev (Le- one d’Oro a Venezia con Il ritorno nel 2003) e “Kis Uykusu” (‘Sogno d’inverno’) del turco Nuri Bilge Ceylan, di nuovo in concorso a tre anni dal bellissimo “C’era una volta in Anatolia”.
La presenza di nomi della levatura di Jessica Hausner, Ryan Gosling, Ruben Ostlund e Rolf de Heer anche nella seconda sezione ufficiale, Un certain régard, creerà i soliti problemi di programmazione della giornata cannoise per i cineasti più accaniti.
Per non parlare poi delle due sezioni indipendenti, la Quinzaine e La semaine de la critique.
Il primo continua ad aprirsi ai film di genere, con gialli (“These Final Hours”, “Cold in July”), horror (“Alleluia”) e perfino un film di guerra (“Queen and Country” di John Boorman, ambientato durante la guerra in Corea del 1950-53).
Alla Semaine ci sarà la solita pesca miracolosa di primi e secondi film, fra cui “Più buio di mezzanotte”, esordio del catanese Sebastiano Riso, ispirato alla vita di Davide Cordova, meglio noto come Fuxia, la drag queen diventata simbolo di Muccassassina, storico locale gay di Roma.
Quanto conterà, alla fine, tutto queste ben di dio cinematografico in termini di soldoni? Beniamini festivalieri come “La vie d’Adèle”, Palme d’Or l’anno scorso, sono regolarmente inneggiati dai critici (fra cui il presente) e trascurati dal pubblico. Detto questo, Cannes è sempre stato bravo a intercalare titoli commerciali fra i suoi do di petto artistici.
Dovrebb’essere il caso, quest’anno, del film diapertura,“Grace de Monaco” con Nicole Kidman, di “Foxcatcher”del regista americano Bennet Miller, dell’animazione fuori concorso “Dragons 2”, perfino del nuovo Cronenberg, “Maps to the Stars”, satira amara su i child stars di Hollywood e i loro genitori da incubo, con Julianne Moore, Robert Pattison, Mia Wasikowska, John Cusack, e chi ne ha più ne metta.
La possibilità di appioppare il logo del palmares su una locandina aggiunge un tocco di classe; e male che va, un succès d’estime è sempre meglio dell’oblio.