direttore Paolo Di Maira

BYE BYE HOLLYWOOD

Temo il momento che dovrà  finire”¦
E’ come se Fellini dipingesse un fiore delicatissimo, e poi ti spingesse dentro i suoi petali”¦”
Così Donald Sutherland, sul set di Casanova, racconta la sua esperienza con il Maestro della Dolce Vita.
Questa era l’Italia che a fine anni “˜70 entrava nelle case di milioni di americani: le parole dell’attore americano appartengono a un’intervista realizzata sul network televisivo NBC Universal.
L’intervista è riproposta nel documentario realizzato da Marco Spagnoli, collaboratore di Cinema & Video International, cimentatosi per la seconda volta con le complesse relazioni tra USA e Europa attraverso il cinema. Il titolo è “Hollywood Invasion” , presentato a Venezia .68 in Controcampo Italiano.
Il documentario propone una selezione di materiali scovati negli archivi di NBC Universal, abilmente montati per mostrare come la “celebrity culture” non si esauriva nel mito di Hollywood in Europa, ma era anche un veicolo che trasmetteva al pubblico americano quello che schematicamente potremmo definire lo stile di vita europeo e italiano in particolare.
Colpisce un servizio che in apertura del documentario descrive, con uno stile che mima il neorealismo, il contesto della lavorazione di Ben Hur nel ’58 a Roma: giovani di borgata che varcando i cancelli di Cinecittà  lasciano intendere di lasciarsi alle spalle problemi antichi di miseria e disoccupazione.
E’ bello vedere, sempre dai materiali di NBC Universal riproposti nel documentario, come si modifica l’immagine degli italiani nel tempo.
Ha l’accattivante professionalità  di Sofia Loren, la folgorante bellezza di Claudia Cardinale che sul set di “C’era una volta il west” spiega come riesce ad essere così diversa con due geni così diversi come Fellini e Visconti.
Il mondo cambia, e con esso l’Italia, le cui istanze di emancipazione femminile vengono testimoniate dalla storia Mina- Corrado Pani, e la creatività  imprenditoriale è interpretata dal produttore Luigi De Laurentiis che svela al pubblico televisivo americano che il suo King Kong è una grande storia d’amore.
E’ l’Italia che reinventa il western, lo spaghetti-western, un fenomeno seguito con grande interesse dal network neworkese.
Insomma, vedere come ci vedevano qualche decennio fa gli americani, fa piacere e immalinconisce, ricacciati come siamo adesso negli stereotipi più triti.


L’estate 2011 Roma l’ha generosamente consacrata a Woody Allen, che nella capitale ha girato il suo ” Bop Decameron”, mettendo tutta la città  in fibrillazione.
Sarebbe bello se dopo l’euforia della foto-ricordo, le strutture di promozione deputate sapessero sfruttare adeguatamente la visibilità  internazionale che il film assicurerà  a Roma ( i francesi l’hanno fatto con “Midnight in Paris”).
Ma la soppressione dell’ICE e il drastico ridimensionamento di Cinecittà -Luce non tranquillizzano sul futuro delle strategie italiane di internazionalizzazione.
Sono lontani i tempi in cui un giovane Clint Eastwood, appena scoperto da un grande regista italiano, rilasciava autografi in un caffè di Via Veneto.
In quella stessa via Veneto, nel torrido agosto appena trascorso, circolava (per esigenze di copione) un Benigni in mutande.


                                   Paolo Di Maira

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