Mentre in UK i broadcasters del servizio pubblico hanno unito le forze chiedendo al governo di sostenere i freelance che lavorano nell’industria e che producono il 50% di quei 100 miliardi di sterline che rappresentano il contributo delle industrie creative all’economia del Regno Unito (come riportato da TBI Television Business International), in Italia il CDA Rai ha deciso all’unanimità di sospendere la riorganizzazione aziendale bloccando il piano industriale e i relativi budget.
E’ questa la premessa della lettera aperta che Doc/it Associazione Documentaristi Italiani e CNA Cinema e Audiovisivo, a nome dell’intera filiera dell’audiovisivo, hanno inviato alla Rai, con la richiesta di “ rispettare le quote di investimento nella produzione indipendente espressamente previste dalla legge Franceschini e dal Contratto di Servizio 2018-2022.
“Intanto in Europa le televisioni pubbliche dei vari paesi si sono impegnate a dare il loro contributo per sostenere la produzione indipendente. È notizia di oggi che il servizio pubblico franco-tedesco ARTE ha deciso di aumentare l’apporto finanziario ai contratti in corso e a quelli futuri del 15% per compensare almeno in parte la difficoltà del momento.
RAI invece si chiude nell’immobilismo, insensibile ad uno dei suoi compiti istituzionali. Quello appunto di sostenere e rilanciare la produzione indipendente” si legge nella lettera.
Si parla di circa 55 mila persone che lavorano indirettamente per la RAI, mentre gli interni sono circa 10 mila, come specifica Mario Perchiazzi, vice presidente di CNA Cinema e Audiovisvo.
La lettera si concentra poi su un settore da sempre ‘discriminato dalla RAI” come quello del documentario, “che– caso unico tra i servizi pubblici d’Europa (e forse del mondo) non prevedeva congrue quote di investimento e programmazione. L’azienda del servizio pubblico radiotelevisivo sembrava finalmente obbligata, con il varo della legge Franceschini, che prevede stringenti quote di investimento e programmazione del documentario, a rispettare questi obblighi, richiamati anche dal Contratto di Servizio RAI.
Obblighi che tra l’altro porterebbero notevoli vantaggi per l’azienda e la produzione indipendente, così come dimostrato dall’esperienza della fiction italiana.
Il recente varo del nuovo piano industriale e la creazione della Direzione e Produzione Documentari con mansioni e finanziamenti simili a quelli degli altri servizi pubblici europei e la nomina del suo direttore nella persona di Duilio Giammaria ci avevano illuso che Il documentario italiano avesse finalmente lo spazio e l’attenzione che merita al pari degli altri generi televisivi. E invece no. Indietro tutta.
Ancora una volta, a due anni dall’entrata in vigore del nuovo Contratto di Servizio (marzo 2018) e a tre anni dalla legge Franceschini (gennaio 2017), non è dato sapere quale sia stato l’investimento di RAI nella produzione indipendente e in particolare nel documentario, così come la legge e il contratto di servizio impongono. E quali siano i piani per il futuro in un momento in cui l’infausta cancellazione di eventi sportivi, a cominciare dalle Olimpiadi previste per l’estate 2020 libera ingenti risorse finanziarie che possono essere indirizzate su un settore in grave sofferenza, riequilibrando peraltro gli obblighi di investimento verso la produzione indipendente.”
L’audiovisivo è una delle industrie strategiche italiane, verso le quali sia l’Europa che lo Stato invitano a liberare tutte le risorse necessarie, sottolineano le associazioni, e pertanto, “Di fronte al ventilato immobilismo della missione di servizio pubblico di RAI e alla palese violazione degli obblighi previsti dalla legge Franceschini…. chiedono ad AGICOM, al MiBACT, al MISE, alla Commissione di Vigilanza di obbligare RAI al rispetto delle quote di investimento e programmazione e di procedere immediatamente alla completa ed operativa riorganizzazione delle direzioni.”