Dieci milioni di spettatori in meno: nel 2012 gli italiani disertano la sala, che registra un calo del 10% delle presenze e dell’8% degli incassi (dati Cinetel). Colpa del vento della crisi, ma non solo, a giudicare dall’aumento irrilevante del prezzo medio del biglietto (+0,7% rispetto al 2011) e dagli esiti della stessa annata in Europa, dove la flessione non si è verificata in queste proporzioni. Nella lista nera dei “colpevoli” ci sono l’annosa questione dell’offerta di film nei mesi estivi così come “l’assenza di interventi di regolamentazione del mercato e di una vera politica culturale, il mancato insegnamento del cinema nelle scuole e soprattutto la piaga della pirateria – commenta il presidente dell’Anica Riccardo Tozzi – che ha portato a un mutamento trasversale delle abitudini di consumo di cinema”. Di fronte a una simile débacle, le associazioni di categoria gridano l’allarme. E lanciano la loro controffensiva: sul piano strutturale (con l’introduzione di misure severe, sul modello delle sanzioni di legge previste dalla Francia, contro la pirateria), distributivo (con una programmazione spalmata lungo dodici mesi, l’uscita di film internazionali in contemporanea con gli altri Paesi europei, la distribuzione immediata dei titoli italiani destinati a Venezia e Cannes) e promozionale (una Festa del Cinema con biglietti a 3 euro dal 9 al 15 maggio, a fianco dell’utilissima “Carta dello studente” già attivata). Rimandando alla presentazione, nelle prossime settimane, di un’agenda del cinema italiano ai diversi candidati alla guida del Paese.Tema centrale del confronto aperto tra le categorie, l’esito negativo del cinema italiano, la cui quota di mercato (comprese le coproduzioni) si è attestata sul 26,5% delle presenze nel 2012 a fronte del 37,6% dell’anno precedente. Una caduta libera con cui gli addetti ai lavori devono fare i conti, visto che “in un mercato cinematografico medio come quello domestico – afferma Richard Borg, presidente dei distributori Anica – ciò che fa muovere l’ago della bilancia sono le quote nazionali”. E allora, cosa è successo? “Lascio ad altri giudicare la qualità del prodotto – spiega ancora Borg – che non compete ad un distributore. Mentre voglio soffermarmi sulla scarsa cura con cui vengono immessi sul mercato certi film. Possibile che dal 1° settembre a fine novembre siano usciti 7 titoli, di cui 6 andati male, mentre almeno 4 meritavano di essere sfruttati meglio? Nel nostro mestiere la scelta dell’uscita ha una valenza incredibile e in Italia non c’è ancora questa sensibilità. Vanno cambiate le strategie e questa è una delle priorità sul tavolo tra le categorie”. Assieme ad un’errata gestione della programmazione, Borg punta il dito sulle modalità di divulgazione dell’immagine del film e sulla fisionomia di un mercato ancora abbastanza sottodimensionato come numero di sale: “Il prodotto italiano c’è stato, anche valido, ma non è stato intercettato dal pubblico perché non ci sono posti adeguati dove fruirlo. Ecco perché la battaglia delle salecittadine è di massima importanza e dovranno essere questi cinema, in futuro, a fidelizzare la loro fetta di pubblico, facendo marketing di sala e contribuendo a gestire il proprio bacino di utenza”.
A Riccardo Tozzi una prima analisi dell’offerta di cinema italiano nell’annata nera, oggetto di uno studio che l’Anica presenterà in primavera: “Forse abbiamo fallito sui contenuti, producendo commedie un po’ troppo facili e film d’autore complessi, a volte arcigni. È mancata la zona centrale, quella di un cinema popolare ma di qualità, capace di intercettare il grande pubblico senza per questo essere film facili o banali. I film che sono andati bene in Europa, come “Quasi amici” o “Il discorso del Re”, erano tutti orientati al centro”.