Autori molto diversi tra loro, come storia personale, età e interessi, accomunati in questa occasione dal firmare film di ridottissimo budget e avventurose strade produttive.
Come dire che il nostro cinema autoriale piace ai selezionatori della Berlinale quando abbandona il solco dell’ufficialità (a non voler pensare male e supporre che i budget e i film più ambiziosi continuino a mirare al solo Festival di Cannes: annosa questione).
Di “In grazia di Dio” il nostro giornale si era già occupato in fase realizzativa, quando a riprese appena avviate avevamo parlato dell’insolita e complessa realtà finanziaria che lo aveva reso possibile: un budget risicato (500mila euro), che è stato coperto da Rai Cinema (diritti televisivi e trattativa ancora in corso), Banca Popolare Pugliese (con il tax credit esterno), un privato, l’Apulia Film Commission, l’Assessorato alle Politiche Agricole della Regione Puglia (di fatto per una specie di product placement agroalimentare del marchio Prodotti di Qualità Puglia) e sponsor vari, che sono poi (per lo più, ma non solo) aziende dell’indotto agricolo pugliese – in prima fila il main sposor Pasta Granoro – che hanno fornito prodotti con cui realizzare “pacchi” alimentari che sono stati barattati in cambio di servizi vari al film.
Baratto, magica parola e antica, che riporta a pratiche in disuso oggi tornate utili.
E quindi al plot del film. “In grazia di Dio” racconta infatti di una famiglia che, stremata dalla crisi che ha portato al fallimento l’impresa familiare e fatto svanire ogni certezza (casa avita compresa, pignorata dalle banche), torna alla campagna e all’agricoltura e che per mantenersi e per far fronte alle proprie esigenze non esita anche a ricorrere al baratto. Film “a chilometri zero” è stato definito: donne, buoi e paesi tuoi.
Girato nel Salento tanto caro a Winspeare, ne sono protagoniste 4 donne, attrici non protagoniste: Celeste Casciaro, che del regista è moglie, la di lei figlia Laura Licchetta, Anna Boccadamo moglie di un pescatore di Porto Tricase, la barista Barbara De Matteis, a cui si aggiunge uno dei soci coproduttori nonché amico d’infanzia del regista, Gustavo Caputo.
Giudicato dai tre coproduttori Winspeare, Caputo e Alessandro Contessa, film così locale da non (voler/poter) ambire a una distribuzione nazionale ma adatto al mercato internazionale, la loro valutazione si è mostrata esatta: se la distribuzione nazionale continua a latitare («un’assenza che non ci fermerà: vuol dire che lo distribuiremo noi, porta a porta, cinema per cinema»), le speranze per essere visto fuori dai nostri confini ci sono. «Solo un’ora dopo l’annuncio che era stato selezionato – ricorda Winspeare -, si sono fatte avanti ben 5 società straniere per la vendita all’estero».
Che era però già stata affidata a Paola Corvino e alla sua Intramovies. «“In grazia di Dio” affronta un tema universale: la crisi induce una metamorfosi, ma genera anche possibilità da intendersi come un nuovo inizio. E l’agricoltura è metafora della necessità che abbiamo di riappropriarci delle nostre radici culturali».
E piccolo film, sempre produttivamente parlando, è anche quello di Gianni Amelio, che per l’occasione torna a firmare un’opera non di finzione: “Felice chi è diverso” è l’incipit di una fulminea poesia di Sandro Penna (“Felice chi è diverso/essendo egli diverso/ma guai a chi è diverso/ essendo egli comune”), da cui prende avvio e ispirazione il regista per guidare lo spettatore attraverso un’Italia segreta, l’Italia omosessuale, dagli anni 20 agli 80 del secolo scorso.
Doveva essere un semplice mediometraggio di montaggio (materiali dagli archivi del Luce), sul genere di quelli già fatti da Amelio a tema emigrazione (“Poveri noi”) e servizio militare (“L’onore delle armi”). Ma questa volta «il tema mi è letteralmente espoloso in mano. C’è così tanto da dibattere ancora oggi, ancora tanti passi avanti da fare nel rispetto e nella libertà di ciascuno».
Così a commento degli spezzoni di repertorio, testimonianza di una realtà che era nei confronti degli omosessuali «violenta, volgare, derisoria, denigratoria, insultante» e che arrivava da giornali, cinegiornali, televisione e cinema, ha voluto giustapporre anche una serie di interviste, una ventina, le parole di chi quegli anni omofobici e quella emarginazione le ha vissute, gente comune per lo più e qualche artista o personaggio famoso (Paolo Poli, il giornalista ex corrispondente in Italia di Screen International John Francis Lane, Ninetto Davoli che parla di Pasolini, una vecchia intervista di Umberto Bindi).
E il testo della poesia di Penna diventa la sfida di chi ha fatto della propria diversità (intesa come sinonimo di omosessualità) uno strumento per andare oltre, «una leva per dimostrare agli altri forza e carattere, non facendosi schiacciare dall’handicap».
Distribuito da Istituto Luce Cinecittà come “Felice chi è diverso”, giunge alla Berlinale anche il film di Fabio Mollo: in Italia illustre “svisto” di stagione (uscito a dicembre in poche copie e pochi cinema, schiacciato dai pezzi da 90 natalizi), per “Il Sud è niente” quello berlinese è il completamento di un felice percorso festivaliero iniziato a settembre al Festival di Toronto e poi proseguito a Roma (sezione Alice nella città), che ha dato a questa pellicola una bella visibilità internazionale.
A comprova la selezione da parte di European Film Promotion della sua giovane protagonista femminile, Miriam Karlkvist, reggina di padre italiano e madre svedese, a rappresentare l’Italia nella prestigiosa passerella di giovani talenti Shooting Stars (ultimi a essere scelti Isa- bella Ragonese, Luca Marinelli e Michele Riondino). Sarebbe troppo sperare, anche per effetto del festival tedesco, in una seconda chance di distribuzione per questa pellicola, magari in poche e selezionate sale “specializzate” del Bel Paese?