Un grande falò in cui vengono accatastati alberi di Natale e vecchi mobili. Una banda di ragazzini che urlano selvaggiamente, la faccia e il petto glabri imbrattati di sangue. È la festa del “Cippo”, il Sant’Antonio partenopeo. Un rituale quasi tribale.
I quartieri e loro abitanti in gara tra loro a chi ha il rogo più grande e luminoso.
È la prima scena de «La paranza dei bambini». Una tradizionale ricorrenza che il regista Claudio Giovannesi ha ricostruito nei minimi dettagli per il suo film.
Da quella, che è inizialmente solo un gioco, prende le mosse una guerra, cruenta e disperata in nome del bene del quartiere. «Raccontiamo la perdita dell’innocenza di ragazzini che scelgono il crimine come strada per compiere il bene, convinti di portare giustizia nel loro quartiere. Ma quella scelta si rivela un’illusione, una china irreversibile. Praticare il male conduce a un destino tragico.”
Prodotto da Carlo Degli Esposti, che del progetto è stato il motore, il film tratto dal romanzo di Roberto Saviano è l’unico che rappresenta l’Italia in Concorso alla Berlinale.
«È un lavoro iniziato quasi due anni fa, quando con Maurizio Braucci raggiungemmo Saviano a New York per la stesura della sceneggiatura – ci spiega il regista che ha al suo attivo quattro lungometraggi di finzione, e altrettanti festival: «La casa sulle nuvole» Premio Speciale della Giuria al Brussels Film Festival 2009, «Alì ha gli occhi azzurri» miglior opera prima e seconda nonché Premio Speciale della Giuria al Festival di Roma del 2012, «Fiore» in concorso alla Quinzaine des Réalisateurs nel 2016.
Tutti con il denominatore comune di raccontare il difficile mondo degli adolescenti.
Finita la trasferta americana, è iniziata a Roma e soprattutto a Napoli, dove Giovannesi si è trasferito a vivere per un anno e mezzo, la lunga fase dei casting (oltre 3000 ragazzi provinati), della scelta delle ambientazioni e dell’adeguamento della sceneggiatura alle scelte fatte “sul campo”.
«Il copione deve coincidere con gli esseri umani che hai selezionato. È fondamentale quando lavori con attori non professionisti».
Dei suoi interpreti dice che sono «tutti napoletani, per lo più degli stessi quartieri in cui abbiamo girato. Giovanissimi, dovevano trasmettere la fragilità dei loro personaggi, la loro innocenza».
Perché, al contrario di «Gomorra» (di cui Giovannesi ha diretto alcuni episodi) o dello stesso romanzo, il film non è un noir.
E in questo si differenzia profondamente dal libro: dove i protagonisti aspirano a diventare piccoli boss solo per sé, per esibire i simboli del lusso e del potere, prevaricare e spadroneggiare, incuranti delle conseguenze.
«Qui lo sguardo si allarga dal contesto cronachistico e sociologico per sottolineare l’elemento esistenziale. Indaghiamo sullo spirito di quell’età, sulle sue caratteristiche. Ci domandiamo: cosa succede a un quindicenne quando fa scelte criminali? Quanto cambia la sua vita? C’è la costruzione di un senso morale in un’età della vita che è amorale».
Per questo, per meglio raccontare i cambiamenti dei protagonisti, il film è stato girato in sequenza, dall’inizio alla fine.
«Perché gli interpreti percepissero la trasformazione progressiva dei loro personaggi». Scelto come direttore della fotografia Daniele Ciprì, le riprese sono state fatte prevalentemente nel Rione Sanità e nei Quartieri Spagnoli. «Dove Napoli è quella antica, ancora vitale, colorata, luminosa, popolana. La Napoli di De Sica e di Eduardo. Non il non luogo delle periferie».
Una Napoli per cui, insomma, si possa almeno minimamente capire perché degli adolescenti pensino di trasformarsi in criminali per proteggerne gli abitanti e salvaguardarla dagli “esterni”.
Se “La paranza dei bambini” è l’unico film in concorso, c’è una massiccia presenza italiana in Panorama, sezione tradizionalmente dedicata a film non convenzionali e di giovani autori. Sono: «Dafne» di Federico Bondi,“Selfie” di Agostino Ferrente, “Il corpo della sposa” di Michela Occipinti, e “Normal” di Adele Tulli.