In occasione della consegna dell’Innovative Storytelling Award per Esterno Notte agli European Film Awards di Reykjavik, Marco Bellocchio ha annunciato di stare lavorando a un secondo progetto di serie TV, sul caso di Enzo Tortora.
“Il titolo potrebbe essere La colonna infame, che è il libro che lui ha voluto sulla sua bara. Già da un po’ di mesi ce l’ho in mente. – rivela Bellocchio -Siamo nelle primissime fasi di scrittura, con Stefano Bises e Giordana Mari, una ricercatrice. Ma sarà una ricerca complessa, perché la vicenda giudiziaria, ormai ampiamente sviscerata, sarà una linea parallela: la mia intenzione è parlare di lui anche dal punto di vista umano, del suo enorme successo con Portobello, e della caparbietà con cui ha lottato trovandosi dall’oggi al domani da essere una celebrità a finire in manette a Regina Coeli, con una determinazione che ne ha messo in crisi anche la salute fisica.”
C’è un filo rosso che lega le ultime tre storie del regista piacentino: quella per cui è stato premiato, (trasmessa sulla Rai a metà novembre “con una media di 3,5 milioni di spettatori a puntata e uno share fra il 15 e il 18%” rivela Simone Gattoni, storico produttore dei film di Marco Bellocchio con Kavac Film), quella che sta ultimando, il lungometraggio per il cinema La Conversione, sulla storia vera del piccolo Edoardo Mortara, che sarà pronto a primavera (“ultimeremo le riprese a gennaio, fra Bologna e Roma), e quella ancora in gestazione, sul caso Tortora, sopracitata. Sono tre storie di ingiustizia, di condanna e costrizione, di resistenza anche.
Bellocchio tiene a precisare che il suo intento non è polemico: a interessarlo è sempre il lato umano delle relazioni personali e familiari (come si vede ad esempio in Esterno Notte, che le esplora più approfonditamente di quello che era stato fatto con Buongiorno Notte, dove comunque emergevano nel personaggio della brigatista Chiara, ed erano anticipate nella dedica d’apertura a mio padre).
E il conflitto fra l’uomo appunto, e l’ottusa insistenza della ‘ragion di stato’.
Sia essa quella della politica (“per quanto riguarda Moro, il discorso dietrologico si è ormai affievolito anche perché non porterà più a niente. Io non so realmente cosa andasse fatto, ma che si sia nascosto questa tragedia dietro la menzogna che Moro fosse pazzo, questo è senz’altro qualcosa di criticabile” dichiara Bellocchio).
Dell’ istituzione giudiziaria: “I giudici, contro tutte le evidenze hanno portato Tortora a processo e lo hanno condannato a dieci anni di galera, non perché fossero cattivi, ma perché in quel momento lì, con i pentiti che lo accusarono, poi ritrattarono e tornarono a accusarlo, se lo avessero assolto, sarebbe caduto tutto. -continua il regista- In realtà poi a Napoli, Tortora troverà dei giudici ‘giusti’ che lo assolveranno in appello e in cassazione, dunque questa se si vuole è una storia a lieto fine, anche se lui ne uscì così provato che morì un anno dopo: mi piacerebbe sottolineare come questo sia evidenziato dal ritorno a Portobello, che però fu fallimentare, proprio perché l’uomo era profondamente cambiato e non riusciva a tornare nei suoi panni di celebrità.”
Sia essa, infine, quella dell’istituzione religiosa: “Mi ha colpito molto la storia di questo bambino che, non ancora settenne, viene portato a Roma a casa dei catecumeni perché una cameriera lo aveva di nascosto battezzato. Mi ha molto emozionato stare accanto al bambino che cresce, si ‘converte’ e diventerà anche prete, missionario. Mi interessava il rapporto con i genitori che cercavano illegalmente di riprenderselo, e il ruolo di papa Pio IX, che insiste e non vuole cedere, perché il piccolo Edoardo rappresenta l’emblema di qualcos’altro, ovvero di tutto un mondo, quello dello Stato Pontificio, che sta crollando, sotto i moti del Risorgimento, e di cui lui non accetta il cambiamento.”