direttore Paolo Di Maira

Palma d’Oro ad Anora, Minervini miglior regia di Un Certain Regard

É Anora dell’americano Sean Baker a conquistare la Palma d’Oro del 77° Festival di Cannes: il cinema indipendente, che racconta l’altro lato del sogno americano, e mette le donne, e le lavoratrici (del sesso, a cui il regista ha dedicato il Premio) al centro. La storia d’amore, tra una spogliarellista di New York (Mikey Madison) che si innamora del viziato giovane di una famiglia di oligarchi russi ha convinto (anche se, si dice, non all’unanimità) la giuria guidata da Greta Gerwig.

Il regista, che all’inizio della sua carriera realizzava i suoi film con il telefonino, con l’obiettivo, da trent’anni, di vincere la Palma d’Oro, ha tenuto a sottolineare che “il mondo deve ricordare che guardare un film sul cellulare o a casa non è il modo di guardare i film…Il futuro del cinema è dove è iniziato: in una sala cinematografica! Dobbiamo lottare non per fare cinema ma per fare film che escono nelle sale”.

Anora è anche la quinta palma consecutiva per lo studio di distribuzione statunitense Neon,  dopo Parasite, Titane, Triangle of Sadness e Anatomia di una caduta.

 Fra gli emarginati del sistema che Baker ha messo al centro dei suoi film precedenti figurano migranti senza documenti, transessuali, tossicodipendenti o prostitute. 

E questo 77° festival di Cannes sarà ricordato anche come il primo in cui una  Baker e Karla Sofia Gascon, prima trans a vincere un premio come Migliore Attrice, assieme a Selena Gomez, Adriana Paz, Zoe SALDAÑA, per Emilia Perez, di Jacques Audiard, uno dei favoriti dalla critica, che ha conquistato anche il Premio della Giuria. 

Miglior attore è invece Jesse Plemons, interprete di Kind of Kindness.

Personaggi ai margini di un’America dimenticata e agli antipodi (anche geograficamente) dal sogno, sono da sempre anche i protagonisti dei film di Roberto Minervini, sia dei suoi lavori ibridi, a cavallo fra il documentario e la finzione, sia di quest’ultimo I Dannati: sua prima opera totalmente di finzione e in costume, eppur molto legata alla contemporaneità, su un manipolo di soldati invisibili e lontanissimi dal mondo, che gli ha valso il Premio per la Miglior Regia ad Un Certain Regard (ex aequo con On Becoming a Guinea Fowl di Rungano Nyoni).

Tornando al Concorso, a conquistare il Grand Prix è un’altra  storia al femminile, diretta da una delle quattro registe donne della competizione principale, All We Imagine as Light di Payal Kapadia, che ha riportato l’India in gara dopo 30 anni.

Le protagoniste Prabha e Anu, due infermiere che vivono a Mumbai, sono entrambe coinvolte in situazioni d’amore impossibili. Un giorno le due donne partono per un viaggio on the road verso una località di mare dove la foresta mistica diventa uno spazio in cui i loro sogni possono svelarsi. Si tratta di una co-produzione Francia, India, Lussemburgo e Paesi Bassi, che vede anche anche un ‘briciolo’ d’Italia nella compagine, grazie al TFL Audience Design Fund, il supporto alla distribuzione del valore di € 45.000 del Torino Film Lab, che il film si è giudicato quest’anno. 

Ed è una co-produzione internazionale a ‘portare’ l’Italia nel Palmares con Grand Tour, storia d’amore ambientata agli inizi del ‘900 che vede un ufficiale inglese intraprendere un Grand Tour asiatico, per cui il portoghese Miguel Gomez è stato premiato come Miglior Regista. Il film vede Vivo Film fra i co-produttori minoritari, anche se l’apporto italiano al film, è stato piuttosto importante, come ha sottolineato la produttrice, Marta Donzelli (leggi qui).

Ancora donne protagoniste del body horror di Coralie Fargeat The Substance, «Questo film parla dell’esperienza delle donne nel mondo e la violenza a cui sono sottoposte. Io credo che i film possano cambiare il mondo e spero che il mio film sia un piccolo passo. Ci serve una rivoluzione e spero che potremo iniziarla assieme», ha dichiarato la  giovane regista, nel ritirare il Premio alla Migliore Sceneggiatura.

Premio Speciale per The seed of the Sacred Fig del regista in fuga dall’Iran Mohammad Rasoulof.

L’Italia la cui presenza non era particolarmente corposa al festival, si è comunque distinta nei Palmares: oltre ai premi sopracitati a Minervini e a Grand Tour, è da segnalare che neanche Parthenope di Paolo Sorrentino torna a casa a mani vuote: pur non ottenendo nessuno dei riconoscimenti principali, vede la direttrice della fotografia, Daria D’Antonio, premiata con il Premio per il Miglior Artista Tecnico, conferito dal  la Commissione Tecnica Superiore (Superior Technical Commission).

Parthenope arriva sul Red Carpet e poi nelle sale italiane con PiperFilm, una nuova media company presieduta da Massimiliano Orfei
Nella foto Paolo Sorrentino e Daria D’Antonio (DOP). Foto di Gianni Fiorito

E ancora, il Torino Film Lab è coinvolto in altri due film premiati: Mongrel dell’ autore singaporiano Wei Liang Chiang (Quinzaine des Cinéastes) Menzione Speciale Caméra d’or per la migliore opera prima (grazie al percorso ‘ScriptLab’ ha scritto la sceneggiatura accompagnato dagli esperti del TorinoFilmLab), e The Brink of Dreams documentario diretto da Nada Riyadh e Ayman El Amir e sostenuto dal TFL Audience Design Fund 2024 (45.000 €), vincitore del Premio Oeil d’Or per il Miglior Documentario

Il vincitore della Caméra d’or è invece Armand di Halfdan Ullmann Tøndel (Un Certain Regard).

La Palma d’Oro per il cortometraggio va a The Man who could not remain silent di Nebojša SLIJEPČEVIĆ; menzione speciale a Bad for a Moment di Daniel Soares

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