“Un Paese senza documentari è come una famiglia senza album delle fotografie” diceva il regista e sceneggiatore cileno Patricio Guzmàn. La citazione si trova sul sito web della ZeLIG – scuola di documentario, televisione e nuovi media nata nel 1988 – che proprio della formazione di professionisti nel racconto del reale ha fatto la sua missione. La scuola è una delle poche in Europa ad occuparsi esclusivamente di film documentari. Dal 1990 è diretta da Heidi Gronauer, responsabile anche di uno dei progetti fiore all’occhiello della scuola: EsoDoc – European Social Documentary. Si tratta di un’ offerta formativa del programma MEDIA, focalizzata su un genere documentario facilmente adattabile a diverse piattaforme e interessato a tematiche sociali.
La ZeLIG è una scuola trilingue (professori e studenti rispettivamente insegnano e imparano in italiano, tedesco e inglese) e fra i suoi banchi si incontrano studenti e docenti provenienti un po’ da tutto il mondo. Chi la frequenta respira aria di multiculturalità e plurilinguismo.
Non è un caso che la sua sede sia a Bolzano, capoluogo di una provincia bilingue, ponte tra la cultura italiana e quella tedesca, territorio di confluenza di una sensibilità mitteleuropea e di uno stile di vita mediterraneo, che qui si uniscono per generare elementi culturali ibridi e unici. È anche da questi elementi che la Zelig trae la sua forza, ma è chiaro che plurilinguismo e multiculturalità del territorio permeano e si riflettono in tutta la produzione documentaria locale, che in Alto Adige vanta una lunga tradizione.
Il suo essere terra di mezzo, equidistante da Monaco e Milano, e bilingue, ha contribuito alla propensione dell’Alto Adige a co-produrre con i Paesi di lingua tedesca, grazie al vantaggio di conoscere entrambe le lingue ed entrambi i sistemi produttivi. Riuscire a co-produrre con i Paesi tedeschi è un plus utile, anche per provare ad accedere ai finanziamenti dei fondi e delle emittenti tedesche, per il momento ancora ben disposte ad investire nel documentario.
Ma la produzione documentaria locale è sicuramente influenzata anche dal forte legame degli altoatesini con la natura, le tradizioni e la storia della gente di montagna. E così, se l’aspetto produttivo ha un respiro europeo, la creatività abita nel territorio alpino, un luogo che va oltre i con ni nazionali, delimitato dalle affinità culturali della sua gente e dalle somiglianze naturali.
Capita spesso che i registi altoatesini che vivono all’estero mantengano un legame così forte con la propria terra, con la natura, le montagne e le proprie origini, da fare spesso ritorno a casa per raccontare anche storie locali.
È successo a Hannes Lang, brissinese classe 1981, che ha lasciato l’Alto Adige per studiare all’Accademia di Media Arts di Colonia, ma che nel suo primo documentario per il cinema, “Peak – un mondo al limite” (coprodotto da Movimento Film, Una Film e ZDF. Premio del Goethe Institut al DOK Festival Leipzig 2011), ha deciso di parlare proprio del paesaggio alpino e di come il turismo di massa lo stia modificando e deteriorando. Dopo essere passato ad uno sguardo più internazionale con “I want to see the manager”, co-prodotto tra l’altro dalla sua Petrolio Film con la bolzanina Miramonte, è tornato ad occuparsi nuovamente del territorio alpino con “Riafn” (che in dialetto altoatesino significa “chiamare”, dal tedesco “rufen”). Il progetto, attualmente in fase di pre-produzione e sostenuto anche dalla Film Commission dell’Alto Adige, seguirà la vita dei contadini e dei pastori delle zone alpine dell’Alto Adige orientale, del Piemonte, della Francia e della Svizzera.
Anche uno degli ultimi lavori di Andreas Pichler, regista, produttore e autore bolzanino diplomato alla ZeLIG, si rivolge al territorio alpino. In “Von Männern und Vätern” Pichler ha cercato di capire assieme al regista Martin Prinz quale sia l’attuale ruolo maschile proprio all’interno delle comunità alpine.
Sembra dunque che nel documentario l’Alto Adige abbia saputo trovare una sua precisa identità, sia in campo produttivo che creativo. E per tornare a Guzmàn, viene proprio da pensare che non corra di certo il rischio di rimanere senza il suo album delle fotografie.
IDM FILM FUND&COMMISSION/Il punto di partenza
Paolo Di Maira
“La grande tradizione del documentario in Alto Adige ha rappresentato per il nostro lavoro il punto di partenza per sviluppare l’industria audiovisiva nella regione”: ne è sicura Christiana Wertz, direttrice di IDM Film Fund & Commission.
“Quando abbiamo mosso i primi passi, 6 anni e mezzo fa – spiega – i professionisti sul campo provenivano tutti da esperienze nel documentario”.
In questi anni la Film Fund & Commission ha finanziato 182 progetti, di cui 54, circa il 30%, sono documentari. Su un totale di 32 milioni di euro erogati dal Fondo, al documentario ne sono andati 3, il 9% circa. Anche se i numeri mostrano che questo genere non è una priorità nelle strategie della Film Commission, Christiana Wertz tiene a precisare: “può sembrare poco in termini percentuali, ma la cifra assoluta è di tutto rispetto, superiore a quella di analoghi fondi esistenti sia in Germania che in Italia”.
Va aggiunto che le risorse date al documentario, confluendo prevalentemente su progetti locali, si sono rivelate, di fatto, un importante sostegno ai talenti e alle produzioni del territorio. Incrocia il documentario anche una recente iniziativa della Film Commission altoatesina, Final Touch- Intense Feedback from Experts, finalizzata ad accompagnare i filmmakers nella fase finale di sviluppo del loro progetto, che, pur essendo aperta a tutti i generi, attira in prevalenza documentari.