Sono in corso in questi giorni a Cinecittà le riprese del nuovo film di Pupi Avati L’orto americano, prodotto da Minerva Pictures Group e Duea Film
Dopo Il signor Diavolo, un’altra incursione nel gotico del regista emiliano, che ha scritto il soggetto e la sceneggiatura assieme al figlio Tommaso: è la storia di un giovane psicopatico con aspirazioni letterarie che si trova a innamorarsi fulmineamente di una giovane nurse dell’esercito americano.
“Sarà un film molto più horror dei precedenti, e la sua produzione avrà una logistica particolare perché la vicenda parte da via Irnerio, a Bologna subito dopo la guerra e poi si catapulta in un paesino Mid West degli Stati Uniti. Andremo dunque là a girare, per poi tornare a Cinecittà e nelle valli di Comacchio, nelle locations che già abbiamo usato per Zeder La casa delle finestre che ridono e Il signor diavolo”.
Pupi e Antonio Avati hanno parlato del loro nuovo progetto, (che avrà come protagonista Filippo Scotti e molti attori che “non praticano ne i nostri film ne questo genere cinematografico, come Roberto De Francesco o l’attrice inglese Rita Tushingam”) a Porretta Terme, nell’ambito della 22° edizione del Festival del Cinema diretto da Luca Elmi, che ha dedicato a Pupi Avati la giornata di ieri, 3 dicembre.
L’occasione è stata il 40° anniversario di Una Gita Scolastica, che nei dintorni di Porretta fu girato nel 1983: alla proiezione del film e all’incontro con i fratelli Avati ha fatto seguito infatti, un breve tour che ha toccato alcune delle locations principali, come l’ antico stabilimento termale delle Terme Alte, nel centro cittadino, il comune di Porretta, che fu messo a disposizione per il casting, l’Hotel Terme, che fu la base logistica della produzione. O lo splendido Castello Manservisi nel borgo di Castelluccio, sul crinale che scende dal monte Cavallo e Monte Tresca.
Il film è infatti una sorta di on the road ante litteram, incentrato sul racconto-ricordo di una gita scolastica di inizio secolo, intrapresa da una terza liceo, in cammino fra i boschi dell’Appennino, da Bologna a Firenze.
É un film di relazioni, che parla di nostalgia, di bellezza e caducità, incanto e disincanto, che fu pluripremiato, vincendo, fra gli altri, il Nastro d’Argento per il miglior film, miglior soggetto, miglior attore (Carlo delle Piane).
E tuttavia, rivela Pupi Avati, la sua genesi fu quella di un documentario su commissione: “la proposta ci arrivò dal capo dell’ufficio stampa del Comune di Bologna, che voleva realizzare un documentario sull’ Appennino tosco emiliano, ancora poco conosciuto. Noi partimmo da questa base costruendoci una storia di finzione ispirata ai racconti di una vecchia zia che aveva frequentato il liceo Galvani a Bologna, e aveva partecipato proprio ad una gita a. piedi fra Bologna e Firenze.”
Un film che tuttavia ha man tenuto, nella sua realizzazione, un approccio aperto all’improvvisazione degli attori (ce ne sono vari a cui quel film ha aperto brillanti carriere, come Nick Novecento, Marcello Messina o Sandro Veronesi) e agli stimoli che arrivavano dalle locations.
“La scena dove Carlo delle Piane è costretto a dormire in una sorta di ripostiglio con i vasi da notte non era prevista in sceneggiatura, l’abbiamo girata perché abbiamo trovato questa stanza all’interno del castello”. Racconta Avati, sottolineando come molta della magia che si è creata su quel set aveva a che fare con lo stupore, “un sentimento che ho perduto nell’invecchiare, quella stupefazione che ti viene anche dall’osservazione dei luoghi.
Una gita scolastica è stato uno di quei film rari che ti vengono donati da uno stato di grazia misterioso e miracoloso per cui tutti quelli che lo fanno sono felici. Oggi che conosco il mestiere, e credo di sapere tutto, mi accorgo che mi è venuta a mancare l’incredulità. Per questo gli spettatori che sono venuti oggi mi commuovono e mi confermano quanto questo film non sia più mio, ma abbia un valore di per sé.”
E conclude: “ se penso alla scena finale di Laura che raggiunge gli altri sul Lago Scaffaiolo finché diventano tutti dei puntini che spariscono nella nebbia…beh questa non era scritta, e l’ho girata, proprio quando, casualmente, si alzò la nebbia. Avrei potuto scriverla molte volte e non girarla mai, invece l’ho girata senza scriverla: questo significa non l’ho fatta io, ma che c’era qualcosa nell’aria, in quel tempo e in quei luoghi.”
E il legame fortissimo con il territorio, che favorisce un approccio documentaristico anche quando quest’ultimo approda alla finzione, è un tratto distintivo di questa regione: non a caso la Film Commission dell’Emilia Romagna ha una lunga tradizione nel sostegno ai documentari, di cui esiste una prolifica produzione.
E sostiene un festival come quello di Porretta Terme, che fa dell’intimo rapporto con il territorio uno dei suoi tratti distintivi più interessanti.
Anche nelle proposte di film che provengono da altre regioni. Ne è un esempio Anna, di Marco Amenta, che ha aperto il Concorso Fuori dal Giro. Una storia profondamente legata alla terra che l’ha generata, la Sardegna, e anche, nell’ispirazione narrativa, ad un’altra terra, la Maremma, dove Amenta aveva girato il documentario The Lone Girl. “La storia dell’ultima cowgirl italiana, Roberta, buttera maremmana che dopo la morte del padre ha deciso di proseguire il suo duro lavoro rinunciando ad un impiego più sicuro e meno faticoso.” Rivela la produttrice Simonetta Amenta, nel q&a che ha seguito la proiezione:
“Anna nasce da una crasi fra questa storia e la vicenda reale di un vecchio agricoltore sardo analfabeta che si ribellò contro i ‘mostri del progresso’ che snaturavano la sua terra.”
La storia della resistenza per la terra va di pari passo con quella per l’emancipazione della giovane e caparbia protagonista nei confronti di una società patriarcale e maschilista, che violenta al pari delle ruspe che rivoltano le zolle e asfaltano.
La straordinaria interpretazione di Rose Aste si è basata su un rapporto simbiotico costruito dalla produzione con il territorio (il film è stato girato fra Muravera – Villasimius- Arborea e Marceddi).
Racconta Amenta: “abbiamo vissuto moltissimo con i proprietari della casa che nel film è di Anna, a stretto contatto con le caprette. Abbiamo instaurato una grande sintonia con il territorio e con le istituzioni, una fra tutte la Fondazione Sardegna Film Commission, che ha sostenuto il film: la squadra guidata da Nevina Satta è stata efficientissima.”